Diego Mancino andrebbe studiato. Sì, qualcuno, non so, un antropologo culturale, un critico musicale serio, uno storico dell’arte dovrebbe prendersi del tempo e studiare Diego Mancino. Cantautore milanese dalle origini punk-anarcoidi, Mancino si è presentato al pubblico, ormai diversi anni fa, come una sorta di reincarnazione di un Tenco se possibile ancora più arrabbiato dell’originale.
Un autore di brani vividi, solidi, vagamente retrò come sonorità e struttura, ma anche come parole scelte per raccontare una visione del mondo decisamente romantica, ma di quel romanticismo che in genere porta a finali tragici in certi film francesi. Poi è arrivata la discografia, che si è accorta del suo valore in primis come autore. Così Diego Mancino, il punk-anarcoide capace di scrivere canzoni che sembrano uscite direttamente da qualche disco degli anni Sessanta, quando ancora, a ben vedere, i dischi non erano album, ma raccolte di singoli, si è ritrovato a lavorare alle canzoni di artisti mainstream come Emma, le canzoni per Francesco Renga (quella La tua bellezza che è, forse, la più bella canzone cantata dal cantante bresciano negli ultimi anni), le canzoni per Noemi, le canzoni per Nina Zilli, le canzoni per Daniele Silvestri e Cristiano De Andrè. Canzoni vivide, solide, vagamente retrò. Scritte da solo o in compagnia di Dario Faini, in arte Dardust. In tutto questo la sua carriera è in qualche modo scivolata in secondo piano, con un album sfornato in compagnia del gigantesco Dj Myke e il tempo che passava nel mentre.
Poi, mesi fa, Diego Mancino ci ha fatto sapere attraverso i social che avrebbe lanciato una campagna di crowdfunding per raccogliere fondi per prodursi il suo prossimo album, dimostrando che forse la discografia ufficiale continuava a vederlo solo come autore. Campagna di crowdfunding andata a buon fine, grazie anche all’aiuto di colleghi che ci hanno messo la faccia con lui. Così arriva Un invito a te, nove canzoni scritte per sé, in compagnia del solito Dario Faini, ma anche di Stefano Brandoni, chitarrista pregevole, nel brano d’apertura, Avere fiducia, e William Nicastro in Molte cose insieme. Otto inediti, più la cover della tenchiana Ragazzo mio, mica a caso.
Brani tutti di primissimo livello. Talmente tanto di primissimo livello da essere troppo per gli altri. Forse troppo alte per finire a un Coca Cola Summer Festival o a una puntata degli Wind Music Award. Diego Mancino è di più, è altro, è un punk-anarcoide con la capacità di evocare un tempo passato in cui le canzoni erano spesse, oggetti da maneggiare con cura, ma anche capaci di rompere vetri e volendo buttare giù pareti.
Questa storia romantica ha un finale non tragico, e di questo non possiamo che compiacercene. Diego Mancino ha fatto goal, come si dice in questi casi, portando a buon fine la campagna di crowdfunding, ma una volta terminato il suo lavoro, fatto secondo le sue idee e i suoi crismi, ha fatto ascoltare il lavoro alla major per la quale scrive, la Universal. Universal che ha deciso di entrare in corsa nel progetto, pubblicando Un invito a te nel proprio catalogo e mettendo a disposizione di questo artista meritevolissimo, antico e moderno al tempo stesso, ostile, ostico, spigoloso e tondo, come la sua voce evocativa, la promozione che merita.
Il brano che ha lanciato il tutto, Succede d’estate, accompagnato da un suggestivo video con Ambra Angiolini, è solo una delle nove frecce nella faretra di Mancino. Una freccia appuntita e al tempo spuntata come solo la nostalgia sa essere. Fossimo negli anni Sessanta, uno come lui, sarebbe sulla bocca di tutti, sul palco dell’Ariston come dentro le radio. Ma Diego Mancino forse ha sbagliato epoca, e ora si limita a scrivere belle canzoni vivide, solide e retrò, ascoltate Molte cose insieme per credere. Belle canzoni vivide, solide e retrò per chi è capace di ascoltarle. Lasciacele ascoltare un po’ più spesso, Diego.