Meglio tardi che mai. Ci sono voluti diciotto anni per rendere in racconto nazional-popolare la cronaca di tutti giorni di Lampedusa. Da quando sono stati istituiti i Centri di Identificazione ed Espulsione (Legge Turco-Napolitano del 1998), nella televisione pubblica italiana finora sono mancate le occasioni di narrazione popolare di questa realtà, messa invece quotidianamente sotto la lente della cronaca dai telegiornali e dai programmi tematici.
Sarà stata forse la vittoria al Festival di Berlino di un documentario come “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi e la recentissima candidatura dello stesso come film italiano in lizza per gli Oscar (senza dimenticare l’immensa produzione audiovisiva indipendente di questi anni sul tema, realizzata da operatori e autori che nel frattempo hanno popolato festival di tutta Europa) a risvegliare la missione del servizio pubblico dell’azienda di via Mazzini.
17% di share per un film tv in due puntate non si vedeva dai tempi di una fiction come “Butta la luna” del 2006 (anche se lì lo share era di 28-29%), proprio per narrazioni che hanno come tema principale la migrazione, l’accoglienza e il cambiamento della società italiana. Dall’esperimento di “Butta la Luna” sono però passati sette anni, visto che la serie si è infatti conclusa nel 2009. E lì, è bene ricordarlo, il protagonista era un migrante (interpretato da Fiona May).
“Lampedusa – Dall’orizzonte in poi” di Marco Pontecorvo, trasmessa il 20-21 settembre su Rai Uno, è un esempio di come la narrazione di tematiche di integrazione possa essere un’alternativa informativa alla cronaca anche per il pubblico televisivo. Il maresciallo della Guardia Costiera Serra, interpretato da Claudio Amendola, e l’operatrice del Cie, interpretata da Carolina Crescentini, sono modelli aderenti alla realtà che incarnano la parte finora – e per troppo tempo – non raccontata del paese. E la novità sta proprio qui, considerando che le fiction più seguite dal pubblico Rai sono “Don Matteo”, “Un Medico in Famiglia” e “Il commissario Montalbano”.
Paragonare questo film tv a serie televisive prodotte da canali privati per lo più anglosassoni (Netflix, HBO) sarebbe però azzardato e sbagliato, visto che sarebbe più giusto guardare al panorama europeo della televisione pubblica e confrontare i diversi palinsesti e risultati su questo argomento. Ovviamente la retorica sul tema rimane (come quella di molti programmi televisivi affini per tematica), come la rigidità sulla scelta dei caratteri, ma va comunque apprezzato e evidenziato l’impegno della Rai a rimettere al centro della sua agenda l’attualità e soprattutto a far cadere dei tabù che continuano a rappresentare il limite della sua missione.