Il consiglio dei ministri ha varato in extremis martedì notte l'aggiornamento del Documento di economia e finanza. Crescita del pil rivista al ribasso: +0,8% quest'anno, contro il +1,2% del Def, e +1% nel 2017. Il rapporto deficit/pil 2017 si fermerà, sulla carta, al 2%, ma di fatto sale al 2,4% se si considerano le spese che secondo il governo sono "fuori patto" perché legate a "circostanze eccezionali". Debito/pil su al 132,8%: calo rinviato all'anno prossimo
Crescita del pil più lenta (+0,8% quest’anno e +1% nel 2017), debito che continua a salire (al 132,8% dal 132,3 del 2015, mentre il calo è rinviato ancora una volta all’anno prossimo), rapporto deficit/pil che sulla carta scende dal 2,4% del 2016 al 2% del 2017. Ma solo sulla carta, perché di fatto il governo si prende comunque uno spazio di manovra che vale circa 9,6 miliardi. E su cui, stando alle indiscrezioni dei giorni scorsi, è probabile che Bruxelles avrà da ridire. Quel che è certo, per ora, è che Matteo Renzi, presentando la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza licenziata dal consiglio dei ministri in zona Cesarini nella tarda sera di martedì, è stato costretto ad ammettere che la Commissione Ue non ha concesso la flessibilità che il premier invocava da mesi: “Non c’è flessibilità in questa Nota di aggiornamento”, ha detto in conferenza stampa, “perché con una decisione che non ci convince si è deciso che vale una sola volta e noi l’abbiamo utilizzata lo scorso anno“, come sottolineato dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker e dal commissario agli affari economici e monetari Pierre Moscovici. “Per me è un errore“.
6,5 miliardi per le “circostanze eccezionali”. Ma l’ultima parola spetta alla Ue – In compenso, ha continuato Renzi, “c’è uno 0,4% massimo di circostanze eccezionali che è altra cosa rispetto alla flessibilità e riguarda elementi che nessuno può contestare che sono sisma e immigrazione”. Tradotto: gli interventi post sisma e le spese per far fronte all’emergenza migranti giustificano secondo Palazzo Chigi e il Tesoro circa sei miliardi e mezzo di maggior deficit (lo 0,2% del pil per ognuna delle due “circostanze eccezionali”) che viene però considerato “fuori dal patto”. Vale a dire che non va a incrementare il rapporto deficit/pil rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità, che in caso contrario sarebbe lievitato al 2,4%, valore identico a quello di quest’anno. Tutto da vedere se la Ue riterrà ragionevoli quelle stime e se concorderà con la tesi che quelle cifre non vanno conteggiate quando si valuterà se Roma ha rispettato il percorso di rientro concordato. Prima ancora, peraltro, la decisione dovrà essere approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta. C’è poi un ulteriore 0,2% pari alla differenza tra l’1,8% promesso a Bruxelles lo scorso maggio e il 2% messo nero su bianco sul Def. E anche su questo si dovrà ottenere il via libera. In tutto, fanno appunto 9,6 miliardi.
La crescita tendenziale per il 2016 si ferma allo 0,6%. E il calo del debito slitta ancora – Per quanto riguarda la crescita, l’esecutivo deve riconoscere che per quest’anno il tendenziale – cioè il tasso di aumento del pil che si registrerebbe a politiche invariate – si ferma allo 0,6%. La percentuale, stando alla Nota di aggiornamento, salirà però all’1% grazie agli interventi che saranno inseriti nella legge di Bilancio. A partire dal fatto che non scatteranno le clausole di salvaguardia da 15 miliardi sull’Iva, “disinnescate” in parte con una nuova mini spending review e con i proventi attesi dalla seconda voluntary disclosure e in parte usando l’extra deficit giustificato con le spese straordinarie. L’esecutivo continua a vedere rosa, incurante del fatto che il Centro studi di Confindustria e le principali istituzioni finanziarie sono concordi nel prevedere per il 2017 un tasso di crescita inferiore o al massimo pari a quello del 2016.
Con il pil che non cresce a sufficienza e le privatizzazioni che vanno a rilento, comunque, anche nelle stime del governo la zavorra del debito non accenna a ridurre il suo peso sull’economia: quest’anno non scende al 132,4%, come prevedeva il Def di aprile, ma sale al 132,8%, contro il 132,3% del 2015. La limatura, peraltro minima, è rinviata ancora, per l’ennesima volta, all’anno prossimo. Quando dovrebbe calare al 132,2 per cento.
Padoan: “Crescita non soddisfacente, dinamica del debito insoddisfacente”. Per Renzi basta “la direzione” – Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: la crescita, sottolinea, “aumenta sia pure in maniera non soddisfacente“. Ma riconosce: “La dinamica del debito è ancora insoddisfacente anche se sta andando nella direzione giusta. Il rapporto debito/pil non scende. Avevo immaginato che sarebbe sceso. Speravo in un po’ più di inflazione. Non è arrivata e questo si ripercuote sul debito”. Per Renzi “il deficit va giù, il Pil va su, tutti e due con una traiettoria meno ampia di come avremmo voluto, ma sono due misure che vanno nella giusta direzione”. E tanto basta. Del debito non fa parola.
Il premier sconfitto sulla flessibilità ci riprova: “Basta subalternità culturale a Bruxelles” – Ma la partita con Bruxelles, a cui la Nota è stata inviata in extremis poco prima della mezzanotte, è tutt’altro che finita: in realtà deve ancora iniziare, cosa che accadrà dopo la presentazione della legge di Bilancio che va approvata entro il 15 ottobre. Intervistato mercoledì mattina da Rtl 102,5 Renzi, fresco di smacco sulla flessibilità, non ha comunque rinunciato a lanciare l’ormai usuale guanto di sfida. “Che noia che barba, che barba che noia, sono tre anni che facciamo gli stessi discorsi”, ha detto citando Sandra Mondaini. “Ci sono delle regole che non condivido ma che rispetto, queste regole noi le rispettiamo tutte. Ancora una volta il deficit va giù, cerchiamo di fare le misure rispettose delle regole europee, ma lavoreremo per cambiarle. Negli altri Paesi nessuno si preoccupa di cosa dirà Bruxelles. La classe dirigente italiana deve vincere questa subalternità culturale alle regole di Bruxelles”.