Dodici anni e 3 mesi, e 8mila euro di multa: è questa la condanna inflitta a Vincenzo Guida (a destra nella foto), uno dei “gestori” della presunta “banca della Camorra” che aveva sede a Milano. Lo ha deciso il gup Gennaro Mastrangelo, al termine del processo con rito abbreviato che, su richiesta degli imputati, si è svolto a porte aperte. Insieme a Guida, che ha accolto la sentenza protestando in aula, è stato condannato a 10 anni e 8 mesi e 6mila euro da pagare anche Alberto Fiorentino: erano stati entrambi esponenti, dai primi anni ’80 fino al 1996, della “Nuova famiglia”, l’associazione criminale che si oppose alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. A Milano Guida e Fiorentino gestivano, in accordo con alcuni esponenti storici di Cosa nostra e ‘ndrangheta, una sorta di “banca parallela”, che si trovava in Piazza Risorgimento, quartiere dell’alta borghesia: era lì che – secondo le indagini – si recavano decine d’imprenditori a corto di liquidità, ai quali venivano concessi prestiti di centinaia di migliaia di euro a un interesse del 40%.
Pene più lievi sono state inflitte ad altre 3 persone: 6 anni di carcere e 1.733 euro ad Alfredo Montefusco, 4 anni e 10mila euro a Filippo Magnone, 2 anni e 2.200 euro a Matteo Magnone. Accolta, infine, anche la richiesta di patteggiamento per riciclaggio a 2 anni avanzata da Sonia Guida, figlia di Vincenzo.
Le indagini sono state coordinate dal pm Francesca Celle e dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini: la Dda di Milano aveva ordinato gli arresti di Guida e Fiorentino nel novembre 2015, con l’accusa di esercizio abusivo del credito aggravato dal metodo mafioso, reimpiego di denaro di provenienza illecita e riciclaggio. Erano stati fermati, in quella circostanza, anche Filippo Magnone e Giuseppe Arnhold, già coinvolti in altre indagini per fatturazioni false, ai quali venne contestato il reato di riciclaggio. Gli scambi di denaro, era stato documentato dagli inquirenti, avvenivano a casa di Guida nei mesi invernali, in strada sulle panchine o sui tavoli dei bar della zona durante l’estate. Il denaro ricavato dai prestiti veniva prima trasferito su conti svizzeri e ungheresi e poi fatto rientrare nel capoluogo lombardo per essere rinvestito in attività illecite. Per questo a tutti i reati contestati era stata aggiunta l’aggravante della transanazionalità.
Dopo il verdetto del gup, i legali difensori hanno dichiarato di voler ricorrere in appello.