Appena archiviato a Roma il tormentone olimpionico con assedio mediatico permanente connesso è puntualmente ripartito da Palermo, sull’onda delle reazioni poco concilianti di molti grillini reattivi al trattamento che larghissima parte dell’informazione riserva a prescindere al M5s, il piagnisteo incattivito dei poveri giornalisti, “vittime dello squadrismo a 5 Stelle” ovviamente istigato dal palco dal duce-fondatore.
Anzi il Beppe Grillo che da creatore del movimento, stretto nella missione quasi impossibile di conciliare i principi fondanti con il governo della capitale, si è rimesso al centro per scongiurare il rischio disgregazione viene definito tout “il profeta d’odio” (il titolo è dell’Unità di Staino e Andrea Romano) da quelli che levano i più alti lai contro il clima intimidatorio nei confronti dell’informazione.
E capita anche che le testate che non si sono adeguate alla lamentazione vittimistica ed esacerbata vengano rampognate aspramente. Così è avvenuto a L’aria che tira su La7 dove Goffredo Buccini del Corriere invelenito contro “la piazza di picchiatori” se l’è presa con Gianni Barbacetto, che si è limitato a considerare come esista un diritto di critica anche nei confronti dei giornalisti, perché su Il Fatto non c’era un bel titolo cubitale in prima pagina sull'”aggressione squadrista” nei confronti di chi aveva il cartellino della stampa ma solo un riquadro interno che riportava “i tafferugli” con strattonamenti e spintoni.
Per stare ai fatti da quello che si è potuto vedere, alla comparsa di Virginia Raggi la massa dei giornalisti si è avventata con un impeto leggermente scomposto come una muta di cani sulla volpe in fuga e servizio d’ordine e militanti hanno reagito con una veemenza che non gli ha fatto onore ma che non si è scatenata dal nulla.
Le intemperanze, l’insofferenza espressa anche in termini non condivisibili e in astratto pericolosi, i “tafferugli”, il desiderio più o meno represso di passare dalle parole ai fatti che hanno finito per essere la rappresentazione spesso dominante da parte dell’informazione della due giorni di Palermo viene dopo la serie di sconfinamenti e di “svarioni” mediatici, a cui è difficile attribuire la buona fede, culminati nella bufala a reti e testate unificate sul presunto siluramento di sindaco e giunta da parte del Vaticano.
Chi crea il clima e chi lo subisce? Chi ha il diritto di fare in buona fede la vittima? Chi ha subito pressioni e “attenzioni” ossessive per finalità che sembrano difficilmente riconducibili al sacrosanto diritto-dovere di informare? C’è bisogno di assalire fisicamente Virginia Raggi o di appostamenti fissi giorno-notte davanti casa o quando fa la spesa accompagnata dalla scorta (che poi non è la scorta) o porta il figlio a scuola per dimostrare che è “impreparata”, ma il sottinteso è “incapace”?
Non è sufficientemente evidente e sotto gli occhi di tutti come l’impasse della Raggi, alla quale viene rimproverato con qualche motivo di aver assecondato il richiamo mediatico quando ha posato con in aula con il figlio, stia in primo luogo in quella griglia per selezionare gli assessori talmente stretta e rigorosa da diventare proibitiva e paralizzante? La rinuncia da ultimo anche di Salvatore Tutino che non vede le condizioni per un “proficuo lavoro” e parla di “esami surreali” sembra riconfermarlo.
Ma molti, troppi giornalisti di questo Paese non sono abituati a porsi molte domande e nemmeno a inseguire con un decimo dell’accanimento che dedicano a un rappresentante dell’opposizione su uno scranno che fa rumore chi il potere ce l’ha veramente, lo usa con enorme spregiudicatezza e sa molto bene come evitare assedi mediatici, domande sgradite, e una tv non sufficientemente addomesticata.