Piero Calamandrei è forse, nell’attuale dibattito politico-istituzionale, l’autore più citato, ma, al tempo stesso, il meno attuato viste le continue violazioni all’assetto costituzionale, nonché al quel sistema di garanzie sostanziali ormai private, rispetto al grande lavoro svolto da lui e dagli altri autorevoli costituenti.
A 60 anni dalla sua scomparsa è necessario, dunque, passare dalle citazioni alle azioni. Ovvero all’attuazione delle battaglie civili custodite integralmente all’interno della nostra Carta Costituzionale (tanto disprezzata da coloro che si improvvisano riformisti), frutto dell’impegno e della serietà di figure essenziali per aver dotato il Paese di un documento di altissimo valore democratico e civile.
Sulla base di queste premesse, al di fuori della mera retorica confinata nell’abbondante convegnistica, per avvertire concretamente la presenza del grande giurista occorre vivificare le sue parole, leggendo e rileggendo i suoi scritti. Ogni sua frase rappresenta, per coloro che intendano veramente rispettarlo, una strada sicura; argomentazioni acutissime che a distanza di tempo non hanno perso la loro forza.
Anzi, si compie un miracolo: ogni volta che qualcuno tenta di deviare o stravolgere le regole anche minime dell’ordinamento giuridico e morale ecco, alla sola lettura, la “voce” integra e limpida di Calamandrei pronta a ripristinare i “normali” livelli di onestà personale, politica e intellettuale. Si avverte la necessità di raccogliere quotidianamente la sua testimonianza, segno del suo cammino morale, con la condotta a testa alta da galantuomo di cui si conoscono pochi esempi nel nostro Paese. In ogni caso, il suo di esempio resta impresso per le tante sfumature connesse alla persona e al personaggio.
Persona rettissima e intrisa di valori autentici di una fervente umanità che ancora riesce a illuminare il buio di un tempo da nuovo autunno del medioevo. Personaggio, invece, eclettico: scrittore, pittore, capace di “dialogare” con le opere d’arte da lui definite vive in pagine meravigliose e suggestive. Attento al fiore che sboccia come alla bella e arguta scrittura dotata di eleganza e stile con una vivacità quasi musicale; osservatore del dettaglio e instancabile raccoglitore dalle cose da non perdere e quindi da conservare e tramandare, sapendo già “in lontananza” ciò che sarebbe accaduto, guardando il mondo con i suoi occhi sinceri e con i suoi “occhiali” capaci di mettere già a fuoco gli avvenimenti futuri.
Ed ecco il Calamandrei dei Diari: “Ma perché io scrivo tutte queste osservazioni, che, se pervenissero in mano a qualche competente autorità, sarebbero sufficienti a mandarmi almeno al confino? Per due ragioni: primo perché se questo periodo passerà prima che io muoia, e se io vedrò il tempo in cui poter fare la storia sincera di questi anni, tutti i piccoli episodi che registro potranno servire a ricostruire l’atmosfera in cui oggi soffochiamo; secondo perché, se questo tempo non passerà per qualche mezzo secolo, e se noi siamo veramente i superstiti malinconici di una civiltà al tramonto, potrebbe tra qualche secolo questo scartafaccio cadere in mano di qualche studioso di storia e apparire un documento di vita non privo di interesse… E poi e poi: scrivo tanto per protestare, tanto per far sapere a me stesso, rileggendo quello che ho scritto, che c’è almeno uno che non vuol essere complice”.
Leggere i suoi scritti e in particolare i suoi taccuini quotidiani è come ascoltare un radiodramma. Piero parla, descrive, sussurra e dipinge. Dipinge gli attimi felici, la sua Toscana nascosta, il fiore mai colto e quello da curare. Dipinge il mare dell’inverno per vederci l’estate, dipinge il monte innevato per trovarci in uno squarcio di sole i germi della primavera: “Spuntano fiori di nome a me ignoto , di un turchino cielo, come piccole giunchiglie; e stelline di un lilla chiaro celestino, gli ‘astri’ proprio fatti come a stella col centro di pistilli bianchi e verdini; e biancospino a scialo sulle siepi. Gli alberi da frutto fioriscono e gemmano”.
La pace di Piero è quella delle piccole cose come un cantore che si rivolge alla luna per interrogare il futuro. Sono passati 60 anni da quando la voce di Calamandrei non si ascolta, ma si legge con immutata intensità; non solo grande giurista, ma cultore della bellezza in ogni circostanza, scegliendo Il Ponte (nome della storica rivista da lui fondata) per attraversare la storia, contro ogni “muro” che tradisce la memoria. Sfogliando i suoi scritti oggi possiamo avvertire questa voce ancora intatta con le sue riflessioni luminose che, proprio come una luna, non smettono mai di sorprenderci e di farci strada; parole che fioriscono e gemmano ogni giorno.