“Il profilo quantitativo degli introiti previsti da privatizzazioni risulta molto ambizioso e non vi sono al momento informazioni sufficienti per valutare se il programma del governo, e quindi la dinamica di discesa del debito, sia credibile”. Lo scorso aprile Alberto Zanardi, membro dell’Ufficio parlamentare di bilancio, in audizione al Senato sul Documento di economia e finanza (Def), aveva messo esplicitamente in guardia Palazzo Chigi e il Tesoro dal fare eccessivo affidamento sui ricavi dalla vendita di quote di società pubbliche. E lo stesso aveva fatto la Corte dei Conti nel Rapporto 2016 sul coordinamento della finanza pubblica, in cui notava che “i programmi avviati, pur corposi rispetto a quanto fatto negli ultimi anni, non sembrano coerenti con i risultati” previsti.
A cinque mesi di distanza, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi deve ammettere di aver sbagliato i conti: nella Nota di aggiornamento del Def 2016, pubblicata sul sito del Tesoro nella serata di mercoledì a 24 ore dall’approvazione in consiglio dei ministri, i risultati attesi per il 2016 crollano a soli 1,6 miliardi dagli 8 previsti nel Def. Nonostante le sollecitazioni della Commissione Ue, quest’anno sono andate in porto solo la quotazione di Enav e la cessione di Grandi Stazioni Retail. Cade poi del tutto il pietoso velo sui risultati della vendita del mattone pubblico: nel documento si legge che quest’anno lo Stato ne ricaverà al massimo 750 milioni, una cifra talmente infinitesimale rispetto al bilancio pubblico che viene quantificata nello 0,0% del pil. Risultato: il rapporto debito/pil non cala, nonostante il governo sostenga di aver “perseguito il delicato equilibrio tra sostegno alla crescita e consolidamento delle finanze pubbliche, al fine di non scaricare sulle generazioni successive il peso del debito elevato accumulato negli anni passati”. Intanto spesa pubblica e pressione fiscale “a legislazione vigente”, in attesa della manovra da presentare in ottobre che varrà “lo 0,5 per cento circa del pil”, continuano ad aumentare. Così le coperture per la prossima manovra, oltre che dal maggior deficit, non potranno che arrivare dalle usuali “misure volte ad accrescere la fedeltà fiscale e a ridurre i margini di evasione ed elusione, e sul lato delle spese nuove misure di riduzione strutturale della spesa corrente, inclusi gli avanzamenti dall’integrazione del processo di revisione della spesa nel ciclo di programmazione economico-finanziaria”.
“Ripresa insoddisfacente, ora politiche più favorevoli alla crescita” – La premessa, firmata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, parte dalla considerazione che la ripresa è “insoddisfacente”, a causa da un lato del “peggioramento delle prospettive a livello internazionale, che rispetto alle attese appaiono modeste, diseguali e caratterizzate da rischi al ribasso“, dall’altro di “ritardi e insufficiente azione di riforma dell’economia italiana negli anni precedenti la crisi“. Di qui la scelta del governo di “rimodulare la politica di bilancio in maniera favorevole alla crescita”, “dando priorità agli interventi che favoriscono investimenti e produttività“. Tra le righe, significa meno austerity e più disavanzo: nel 2017 il rapporto deficit/pil, considerando anche le spese per il terremoto e l’assistenza ai migranti che l’esecutivo ha deciso di considerare “fuori patto” (ma ora serve l’ok del Parlamento a maggioranza assoluta), anziché scendere resterà di fatto al 2,4%, valore identico a quello di quest’anno.
E Padoan torna a puntare sulla spending review. Anche se finora i risparmi non si vedono – Padoan prosegue rivendicando ancora una volta la riduzione della spesa di “circa 25 miliardi di euro” messa a segno nel 2016, nonostante, come fatto notare dall’ex consulente per la spending review Roberto Perotti, i soldi risparmiati siano stati quasi interamente spesi per altri interventi, arrivando in pratica ad azzerare i benefici per le casse pubbliche. Eppure il ministro continua a negare il flop e anzi rilancia mettendo nero su bianco che “gli sprechi si vanno sistematicamente riducendo ma ci sono ancora margini apprezzabili per accrescere ulteriormente l’efficienza dei servizi erogati dalle Amministrazioni pubbliche”. Resta da vedere quanto, stavolta, si riuscirà davvero a tagliare: per ora, stando alle tabelle inserite nella Nota, le spese correnti continuano a lievitare così come quelle finali (826,9 miliardi quest’anno, 828,6 il prossimo, 835,7 nel 2018), nonostante il calo di quelle in conto capitale. A ridursi in modo sostanziale sono solo gli interessi passivi sul debito, grazie alle misure messe in campo dalla Banca centrale europea che hanno comportato una forte riduzione dei tassi.
Pressione fiscale dal 42,6 al 42,8% “a legislazione vigente” – Seguono alcune anticipazioni sulla legge di Bilancio in via di preparazione: “nel 2017 l’Ires scenderà dal 27,5 al 24 per cento” e “ulteriori interventi di riduzione della pressione fiscale verranno realizzati con la prossima Legge di Bilancio disattivando il previsto incremento dell’Iva per l’anno 2017 (quello legato alle clausole di salvaguardia da 15 miliardi, ndr) e introducendo ulteriori misure di alleggerimento per le imprese“. Il titolare di via XX Settembre sorvola sul fatto che per ora la pressione fiscale è prevista in aumento: dal 42,1 al 42,2% se se si considera il bonus di 80 euro una riduzione di tasse, dal 42,6 al 42,8% al lordo dello sgravio Irpef. Quanto al promesso taglio delle aliquote Irpef a partire dal 2018, la Nota si limita ad annunciare che “con le prossime Leggi di Bilancio si valuterà la possibilità di agire sull’Irpef in base agli spazi finanziari disponibili nel rispetto dei saldi di finanza pubblica“.
Cade il velo sul flop delle privatizzazioni: introiti previsti crollano da 8 a 1,6 miliardi – Il vero tasto dolente è comunque il rapporto debito/pil, che “risentendo della minore intensità della ripresa e della debole dinamica dei prezzi si porta al 132,8 per cento nel 2016”. Ancora una volta la promessa è che “comincerà a ridursi a partire dal 2017”. Peccato che intanto il programma di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e di privatizzazioni sia “frenato dalle condizioni di elevata volatilità dei mercati finanziari e dall’esigenza di valorizzare adeguatamente le imprese controllate dallo Stato attraverso piani industriali ambiziosi“. Ne deriva, appunto, la revisione al ribasso dei ricavi previsti quest’anno dallo 0,5% del pil (8 miliardi) allo 0,1%. L’obiettivo risale allo 0,5% nel 2017 e 2018.
Le anticipazioni sulla legge di Bilancio – E’ su questa base che si innesterà la manovra di Bilancio attesa entro il 15 ottobre: la Nota di aggiornamento del Def anticipa che avrà una portata “pari allo 0,5 per cento circa del pil”, cioè 8 miliardi. Sul fronte delle uscite “saranno rafforzati gli incentivi fiscali per il settore privato già previsti da precedenti disposizioni normative”, cioè la riduzione dell’aliquota Ires per le imprese, “e introdotte nuove leve per la ripresa dell’accumulazione di capitale“, vedi gli iperammortamenti del 250% per gli investimenti in tecnologie, e ci saranno “interventi di sostegno ai pensionati a rischio di povertà e per favorire la flessibilità d’ingresso nel sistema previdenziale. Ulteriori interventi riguarderanno il rafforzamento delle misure per il sostegno alle famiglie“. Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, “dopo sei anni di blocchi resi necessari dalla drammaticità della crisi si procederà al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego con l’obiettivo di valorizzare il merito e favorire l’innalzamento della produttività, in modo da contribuire all’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione”. In più l’esecutivo “intende operare, ove necessario, ulteriori interventi per l’emergenza sisma, la messa in sicurezza del patrimonio abitativo e del territorio e la gestione del fenomeno migratorio“. Interventi per i quali ha deciso di “prendersi” 6,4 miliardi, Bruxelles permettendo.