Cultura

Silvio Berlusconi, la “confessione inedita” dell’ex cavaliere nel libro “Bisogna saper perdere”

Esce venerdì 30 settembre Bisogna saper perdere, saggio di Filippo Maria Battaglia e Paolo Volterra che racconta l’incapacità dei politici italiani di accettare la sconfitta dal dopoguerra a giorni nostri. Anticipiamo uno dei capitoli del libro, dedicato a Silvio Berlusconi: una lettera immaginaria dell’ex premier (che oggi compie 80 anni) scritta esclusivamente con le sue frasi pronunciate durante la sua attività politica

di F. Q.

Spread, comunisti, magistrati e colpi di Stato: la confessione «inedita» di Silvio Berlusconi*

Vi chiedo qualche minuto di attenzione per chiarirvi cosa penso di quanto sta accadendo nel nostro Paese. Dopo queste elezioni non siamo più in democrazia. Certo, nelle strade non si sono visti militari e carri armati, ma sono comunque successe cose incredibili. In Alto Adige, per esempio, abbiamo trovato un’urna in un bosco. Per i nostri esperti un milione di voti è stato cambiato dai professionisti della politica. Per smascherare i brogli ho chiesto di fare un decreto: volevo ricontare tutte le schede, ma mi hanno bloccato. Alla fine secondo i dati ufficiali abbiamo perso per poche migliaia di preferenze.

In realtà, ho vinto io: me lo hanno assicurato anche gli americani. Quegli altri hanno rubato i miei voti. Per questo, non ho fatto e non farò nessuna telefonata. E non farò nemmeno gli auguri di buon lavoro, perché sarebbero contro gli interessi dell’Italia. Anzi, dovrebbero essere loro a chiamarmi per chiedere scusa per gli insulti. Ah, chissà cosa dirà il mio amico Putin: adesso mi vedrà come un perdente!

Un nostro successo, comunque, sarebbe stato qualcosa di miracoloso, contro una macchina vecchia di trent’anni, con i suoi leader vecchi di trent’anni. Se una forza come la nostra – che ha dovuto combattere contro l’85% dei giornali e una legge illiberale come la par condicio – sta ancora qui a fronteggiare gli avversari, beh, questo non può non essere considerato un miracolo. Gli altri hanno elettori ideologizzati e militarizzati, noi no.

Sono vecchio, a volte mi viene voglia di mollare, di tornare a casa. Poi però penso che non so chi possa prendere il mio posto. In fondo, in questo regime spaventoso, l’unica opposizione è rappresentata da Silvio Berlusconi e dal suo conflitto di interessi. Ancora oggi, quando vado in giro, vedo un entusiasmo crescente intorno a me. La gente mi saluta per strada, mi abbraccia, mi fa le feste ovunque. Che vi debbo dire? Ho visto via via crescere negli elettori un sentimento di solidarietà che ha avuto aspetti commoventi. In Sardegna, per esempio, non potevo farmi vedere in mare senza che dalle barche intorno non partisse un concerto di sirene con tutti in piedi a salutarmi e a gridarmi di non mollare. Sarà una combinazione ma è così, me lo confermano anche i sondaggi.

Ci si dimentica spesso che chi è scelto dalle gente è come unto dal Signore: c’è del divino nel cittadino che sceglie il suo leader. Contro di me, invece, c’è stato una specie di concerto, di unione di tutte le forze: le grandi industrie, i grandi giornali e tutte le forze della sinistra, Quirinale e Corte Costituzionale compresi. Per non parlare delle scuole, degli insegnanti, dei sindacati: guardo con invidia ai mille miliardi di risorse della Cgil e ai suoi 12mila dirigenti.

Questo schieramento ha tentato in tutti i modi, con attacchi che sono anche personali, in puro stile stalinista, di incidere su di me, affinché mi stancassi, ma questo non è avvenuto e non avverrà mai. Nonostante il risultato e soprattutto nonostante i magistrati: i governi fondati sul processo penale invece che sulle elezioni democratiche si sono viste in questo secolo solo nei paesi dell’Est europeo, a Cuba e nella Corea del Nord. Sono loro l’anomalia, le toghe rosse. Centonove magistrati che si sono interessati di me, che da quando Silvio Berlusconi è entrato in politica hanno deciso di aggredirlo con innumerevoli iniziative. Ho tentato di fare la riforma della giustizia ma i vari Fini, Follini, Casini non me l’hanno permesso. Hanno bloccato la nostra attività con la richiesta di continue verifiche, mi hanno fatto perdere per pure ragioni personali. Se non mi avessero messo il bastone fra le ruote! Alla base di tutto c’è che non hanno creduto nella vittoria. Quel coglione, poi, con le sue fisime sulle liste per gli italiani all’estero, ci ha fatto perdere il Senato! E se penso che abbiamo perso la Camera per il genio che non ha voluto allearsi in Veneto con quello delle finestre, che ha preso quasi 90mila voti, rimango di stucco.

Siamo in un regime: in Italia ci sono stati quattro colpi di stato incruenti in cui maggioranze e governi eletti sono stati fatti fuori. C’è stata, ad esempio, non molto tempo fa, una precisa volontà di togliere di mezzo un presidente del Consiglio democraticamente eletto che contrastava gli interessi sbagliati di altri Paesi, a cominciare dalla Germania. Io avevo la contezza che stesse accadendo qualcosa e avevo anche a un certo punto ritenuto che ci fosse una precisa regia. Al G20 di Cannes, addirittura, amici e colleghi mi dicevano: «Sappiamo che tra una settimana ci sarà un altro governo». L’imbroglio dello spread è stato l’alibi per il delitto perfetto. Sono stato così costretto a dare le dimissioni e si è installato un esecutivo completamente oscuro agli elettori: se questo non è un colpo di stato ditemi come si può chiamare!

Di sicuro, comunque vada, ci rimpiangeranno. Il nostro è stato il miglior governo nella storia della Repubblica: quante cose fatte, e chissà quante altre se ci avessero fatto lavorare. Il doppio! Il governo è come una squadra: per giocare bene gli serve tempo. Bisogna lasciar lavorare il manovratore e invece loro non mi hanno lasciato governare. Il problema è che ci troviamo in una democrazia parlamentare che presenta aspetti superati. Penso alle regole della Camera e del Senato: un giorno, per esempio, ho dovuto rispondere a un’interrogazione, e così tutta la giornata se ne è andata via. Ma che sistema è? In Inghilterra era la Thatcher che diceva alla regina che bisognava andare alle elezioni, non il contrario.

Se vi ricordate io sono sceso in campo per cambiare le cose, per migliorare questo Paese, per fare i fatti. Invece, ecco qui, mi trovo costretto quotidianamente a difendere me stesso e quello che ho costruito in anni di lavoro e sacrifici. Mi hanno circondato e condannato nella palude della politica delle parole, sono prigioniero, mi è impedita ogni uscita forte.

Volevano che mi ritirassi a scrivere le mie memorie, ma non lo farò. È vero, potrei anche pensare di attaccare le scarpe al chiodo, di abbandonare la politica, facendo quello che sarebbe il mio interesse personale, ma perderei la stima e anche l’affetto del 50 per cento degli italiani.

Io non ho alcuna voglia di fare politica, non l’avevo nel ’94 e non ce l’ho oggi. Ho il rigetto del teatrino della politica, del telegiornale e dei giornali, tutti di sinistra. Questo ormai è un Paese ebbro di odio, di invidia e gelosia contro di me. Tra qualche mese comunque, me ne vado, vado via da questo Paese di merda, di cui sono nauseato. Punto e basta. Sono un ricco signore che potrebbe costruire ospedali per bambini nel mondo. Ne ho già fatto uno in Amazzonia e ne stavo facendo un altro in Africa, ma poi mi hanno richiamato in politica. E alla fine ho capito che sono condannato a restare a fare quello che faccio, perché sono una persona responsabile. Come nel ’94 mi sentii obbligato a scendere in campo per non lasciare il Paese in mano ai comunisti, oggi mi sento moralmente obbligato a non uscire da quel campo per evitare che si realizzi una prospettiva forse persino più nefasta.

Non posso permettermi di concludere la mia avventura umana in questo modo, però sono stufo di vedere i miei figli piangere per come mi descrivono, per quello che di me si dice nelle piazze. Poi penso che in certi momenti uno deve mostrare di essere uomo, di avere coraggio. Allora ai miei figli dico che il papà è un soldato in guerra per salvare la libertà di tutti, e che l’ha dovuto fare perché non c’era nessun altro modo per farlo.

Io non ho mai fatto appelli al popolo. Sono un mite e se c’è qualcuno che mi ricorda la mitezza di Gandhi, quello è il signor Berlusconi. Però vi dico: se si continua a lungo così, con questo governo, potrebbero esserci disordini anche gravi.

Ad ogni modo, adesso voglio dire solo una cosa: state calmi, non vi sbilanciate. Da parte mia voglio rassicurarvi: non ho sofferto a lasciare a Palazzo Chigi, non sono un uomo di potere, la mia stella polare è il disinteresse. Anzi, ora volo su aerei più belli di quelli di Stato. Adesso, per esempio, me ne andrò per un po’ di tempo. Ho preso un po’ di freddo, non mi succedeva da dieci anni di avere un raffreddore. Sapete che vi dico? Vado in vacanza una ventina di giorni. E rimarrò in silenzio. Sono stanco, voglio rimettermi in sesto. Tornerò, farò tutto quello che posso; se andrà male, vorrà dire che andrò alla Bahamas. In fondo, va tutto bene. Anche se sì, forse, le cose potevano andare meglio.

©Bollati Boringhieri editore 2016. Tutti i diritti riservati.

Tratto dal libro di Filippo Maria Battaglia e Paolo Volterra, Bisogna saper perdere. Sconfitte, congiure e tradimenti in politica da De Gasperi a Renzi, Bollati Boringhieri editore, pp. 162, euro 12

* Tutte le frasi della «confessione» sono state pronunciate da Silvio Berlusconi negli oltre vent’anni della sua attività politica, e sono riportate in interviste, libri, retroscena, dichiarazioni e comunicati stampa. Qui sono state però rimontate e decontestualizzate, unendo concetti spesso slegati tra loro ed espressi anche a diversi anni di distanza, con l’unico obiettivo di ricreare un monologo surreale eppure, ad avviso degli autori, a suo modo rappresentativo.

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