L'archistar genovese ha presentato il suo progetto al Senato: niente grandi opere. I costi? "I fondi possono essere trovati facilmente nei bilanci di ogni anno. Sono soldi che rientrano immediatamente in circolazione: è come dare ossigeno, perché sono microfinanziamenti, microimprese, microcantieri. C'è anche bisogno di una macroimpresa, di una grande organizzazione"
Interventi su dieci milioni di case. Per mettere in sicurezza l’Italia e anche per dare lavoro. Perché “si parla tanto di fatalità, ma non esiste!”. Renzo Piano parla da senatore a vita nell’aula di Palazzo Madama. Ma soprattutto da architetto. E racconta il suo progetto “Casa Italia” annunciato quando Matteo Renzi fece visita al progettista del Beaubourg nel suo studio pochi giorni dopo il sisma di Amatrice, dopo i quasi trecento morti. Oggi se n’è parlato in aula e Piano ha indicato i passi da compiere, il più possibile concreti: “Qualcuno potrebbe dire che questa è teoria, accademia. No, non lo è. Vi assicuro che sono una persona molto pratica”. Ma servono un budget, un gruppo di lavoro e un’organizzazione, ricorda Piano alla platea dove si vede anche il premier Matteo Renzi. Non bastano gli annunci e, sottolinea l’architetto, bisogna avere memoria lunga: “Dopo un po’ i riflettori si spengono e queste tragedie si dimenticano. Invece questo è un tema che va tenuto vivo, almeno per i prossimi cinquant’anni e forse anche di più”. Due generazioni, dieci legislature (senza contare i voti anticipati). “Adesso o mai più”, sussurra qualcuno in aula, “perché soltanto nel Novecento in Italia i terremoti si sono portati via 160mila vite umane”.
Ma quali sono, allora, le soluzioni concrete? Piano ne indica soprattutto due: la diagnostica avanzata e i cantieri leggeri. L’ultima generazione di “chiavi”, sì, proprio come quelle che si usavano già negli edifici antichi. Niente grandi opere. “Il punto di partenza è la casa”, spiega Piano, “Non lo dico per limitare il terreno, per limitare gli sforzi, ma per concentrarli. Sono una persona molto pratica e so che bisogna concentrare gli sforzi per ottenere il risultato. Vorrei concentrare, quindi, sulla casa, perché essa è il rifugio di tutti. La casa è un rifugio, ma è anche il luogo del silenzio. In fondo, tutti noi abbiamo passato la vita a tornare a casa, ogni settimana, ogni mese, ogni giorno. La casa è il rifugio, il luogo del silenzio, in cui si ritrova se stessi”.
Poi ecco le soluzioni concrete: “Tutto deve cominciare con la diagnostica. La chirurgia è diventata più precisa, meno invasiva e distruttiva, man mano che le diagnosi sono diventate più precise”. Vale anche per la casa. Piano è convito che grazie alla “termografia e agli strumenti che, tra l’altro, produciamo in Italia” sia possibile valutare lo stato di salute delle nostre abitazioni. E non parliamo di una città o una regione, ma di tutto il Paese, la lunga dorsale dei terremoti che seguendo l’Appennino parte dal Friuli del sisma del 1976, passa dall’Emilia, per scendere lungo l’Umbria, l’Abruzzo, la Campania. Fino alla Sicilia. Tutte zone segnate in rosso nella mappa del rischio sismico, dove, però, si è continuato a costruire. Proprio come nel quartiere Pettino dell’Aquila, un esempio tra i tanti, dove negli ultimi decenni sono cresciute migliaia di case nonostante l’indicazione sulla carta dei terremoti del 1939.
Diagnosi, quindi. Poi la realizzazione di dieci prototipi: “Si può fare in tempi brevi. Abbiamo la competenza per farlo”, assicura l’architetto. Bisognerà dividere le case tra quelle antiche e quelle del Dopoguerra. Poi secondo il materiale di costruzione: “La pietra, il laterizio, la struttura mista, il cemento. Sono state costruite cose spaventose in cemento nel Dopoguerra! Dico spaventose non al livello di estetica, ma di sicurezza”. A questo punto si potrà intervenire. L’obiettivo è “non allontanare le persone dalle loro case”. Renzo Piano è convinto: “Questo patrimonio di 10 milioni di edifici può essere messo in sicurezza… la certezza non esiste con il sisma, però la salvaguardia sì”. I costi? L’architetto genovese non entra nel dettaglio “di quanti soldi ci vogliono, ma sono soldi che possono essere trovati facilmente nei bilanci di ogni anno. Sono soldi che rientrano immediatamente in circolazione: è come dare ossigeno, perché sono microfinanziamenti, microimprese, microcantieri. C’è anche bisogno di una macroimpresa, diciamo così; c’è bisogno di una grande organizzazione, ma sono soldi che rientrano immediatamente”.
Piano non lo dice, Renzi davanti a lui applaude. Ma in aula – zona M5S – qualcuno sussurra: “Vedi, non servono grandi opere. Tipo il Ponte sullo Stretto. Con quegli stessi soldi si potrebbero mettere in sicurezza milioni di case. Basta saper scegliere, questa è la politica”. Un progetto che non porterà molti voti e comunque vedrà la sua realizzazione tra cinquant’anni. Quando, molto probabilmente, nessuno degli attuali politici sarà ancora in carica. Lo stesso Piano, forse con ironia, mette in guardia sui rischi: “In Italia siamo bravissimi nell’emergenza immediata… Siamo leggermente meno bravi sul lungo termine”. Ma “si tratta di cominciare e non smettere più e di vergognarsi di dimenticare i drammi, che passano, escono dalla cronaca e si dimenticano…”, perché “ci sentiamo colpevoli solo per il tempo in cui piangiamo i morti”. L’obiettivo è mettere in sicurezza l’Italia, ma soprattutto “non essere eredi indegni” del Paese bellissimo che abbiamo ricevuto. Piano finisce di parlare. Partono gli applausi. In prima fila Renzi che dice: “I costi adesso non li possiamo stimare, ma i soldi ci sono”. Ora, però, viene il difficile: “Si potrebbe partire subito”, ha detto l’architetto. Si vedrà cosa succede davvero.