Se ne parla da almeno tre anni. E finalmente sta per arrivare. C’è una data, e visto che abbiamo a che fare con gli inglesi, possiamo star certi che a data seguirà in effetti evento. Ma non bastasse la data, ci sono tutte una serie di operazioni di corollario, per cui i residui dubbi possono serenamente dirsi fugati.
Stiamo parlando della tanto attesa, e più volte ventilata, The Pink Floyd Exhibition, che prenderà il via il 13 maggio del 2017 nella capitale inglese, e stiamo parlando delle celebrazioni di quella che viene considerata, a ragione, una delle più importanti rock band di sempre del mondo. L’occasione è il cinquantennale dall’esordio discografico della band, nel 1967 infatti uscì a marzo il loro primo singolo Arnold Layne e il loro primo album The Piper at the Gates of Dawn, e le pietanze che sono state apparecchiate sul tavolo sono davvero succulente.
Partiamo dalla mostra, anche se sarà l’ultima pietanza a essere servita, in ordine di tempo. A ospitarla sarà il Victoria & Albert Museum, dopo il successo clamoroso di David Bowie is, mostra dedicata al Duca Bianco, di nuovo protagonista di un grande evento musicale. The Pink Floyd Exhibition promette di essere all’altezza della grandezza della band cui è dedicata, con fotografie, materiale di scena, abiti, strumenti, rarità e memorabilia raccolte in Inghilterra e in tutto il mondo. Una vera full immersion nella storia e nell’immaginario di una delle band più importanti del mondo, annunciata a fine agosto con la giusta grandeur. Richiamando infatti la modalità con cui la band decise di annunciare al mondo l’imminente uscita di Animals, nel 1976, un enorme maiale rosa gonfiabile, pieno di elio, è tornato ancora una volta a volare sui cieli di Londra, sotto lo sguardo vigile di fotografi e cameraman. La scena all’epoca evocava i testi dell’album in via di pubblicazione, e la mitica copertina che ritraeva la Battersea Power Station, nel mentre andata in disuso e divenuto parco pubblico.
Altre pietanze sono arrivate e arriveranno a solleticare i palati dei milioni di fan della band sono quelle più inerenti alla musica. Si è partiti già il 23 settembre, quando la Pink Floyd Records ha pubblicato tre vinili rimasterizzati di Atom Heart Mother, Meddle e Obscured By Clouds, rispettivamente del 1970, 1971 e 1972. Poi, a novembre, arriverà la vera chicca, discograficamente parlando, una chicca che dovrebbe accontentare non solo gli appassionati dei Pink Floyd, ma più in generale i cultori tutti del rock, la pubblicazione di The Early Years 1965-1972, una raccolta di ventisette dischi suddivisi in sette volumi, dicono i bene informati, con parecchio materiale inedito. Poi sarà la volta della mostra, a maggio 2017.
I Pink Floyd, nati a metà degli anni sessanta dall’incontro del geniale Syd Barrett col gruppo The Tea Set, in cui militavano Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright, cui si aggiungerà nel 1968, a successo già arrivato, David Gilmour, hanno segnato la storia del rock con un suono tra rock classico e psichedelia, giocato sulla chitarra e sull’italianissimo Organo Farfisa, e frutto dell’incontro di un gruppo di genialità indiscusse, da quella fragile e malata di Barrett a quelle di Waters e Gilmour, entrato nel gruppo inizialmente per supportare Barrett e poi divenuto parte di una delle coppie fondamentali del genere. Sottolineare come The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here, Animals, The Wall, ma anche The final Cut e A Momentary Lapse of Reason siano legittimamente considerati dei classici, opere capaci di entrare di diritto non solo e non tanto nella storia della musica rock, ma in quella della cultura novecentesca tout-cour, con il carico di figure poetiche, di immaginari, di storie, di suoni e più semplicemente di canzoni, è esercizio anche troppo semplice, quasi scontato.
La gigantesca figura di Syd Barrett, anima ipersensibile e quasi bambinesca schiacciata da una parte dal successo, dall’altra dai suoi stessi compagni di strada, la poetica granitica e maniacale di Roger Waters, il dualismo con Gilmour, i tour giganteschi e leggendari, al limite della mitomania, il geniale film di Alan Parker The Wall, tutto questo dovrebbe finire prima in The Early Years 1965.1072, poi dentro The Pink Floyd Exhibition, anche se è prevedibile che, come recentemente è capitato anche nel film Eight Days a Week, opera dedicata da Ron Howard ai Beatles, la storia verrà raccontata dai vinti, in quel caso McCartney e Ringo Starr, in questo Gilmour e Mason. Anche questo, il continuare a guardare ai Pink Floyd come a una creatura a due teste, una rimasta attaccata al corpo, Gilmour, l’altra, Waters, da più di trent’anni fuori dal gruppo ma sempre lì, presente quasi fisicamente in line up, è parte di questa storia incredibile, magistralmente raccontata dal loro più grande cantore a parole, Michele Mari, in quel capolavoro di romanzo che è Rosso Floyd.
Da anconetano spero che The Pink Floyd Exhibition possa contribuire a rispondere una domanda che da due anni mi attanaglia: perché mai una carta geografica di Ancona e della costa marchigiana trova spazio nel booklet dell’ultimo album della band, The endless river? C’entra la passione di Wright per gli organi Farfisa, prodotti in zona? C’entra l’amore di Gilmour per la Grecia, visto che è da Ancona che si partiva, un tempo, per raggiungere il Pireo in nave? Un caso fortuito? Il 13 maggio 2017, alla Victoria & Albert Museum potrebbe arrivare finalmente la risposta.