Ha preso il via oggi, e si concluderà domani allo scadere delle 36 ore, la Spartathlon, una delle ultramaratone più dure e intense del mondo. Un “viaggio” speciale, che dal 1983 si ripete ogni anno a settembre, così come lo ha vissuto Lorena Brusamento, che ha portato a termine l’impresa nel 2015. Prima di lei, solo un’altra italiana
C’è un re, in fondo al viale Kontantinou Palaiologou. Indossa l’elmo crestato, imbraccia lo scudo e impugna la spada. Alta, sopra di lui, sventola la bandiera a strisce bianche e azzurre. Il re sdegna il lento passeggiare sulla strada che si dipana per duecento metri ai suoi piedi, divisa da un rettifilo di aiuole curate. Quello è il salotto buono di Sparta, ci si va a fare shopping o a mangiare qualcosa in compagnia. Non può permettersi simili passatempi, Leonida, eternamente pronto alla battaglia. Il suo capo è girato a sinistra, lo sguardo puntato in direzione est-nordest. Se non proprio verso Atene, quasi. Alle sue spalle, oltre il moderno stadio di calcio e là dove cominciano gli ulivi, sono sparse le rovine della mitica città del Peloponneso su cui regnò, per soli dieci anni. Ma che anni! Cominciarono con la battaglia di Maratona, nel 490 a.C., e terminarono con quella delle Termopili, nel 480 a.C. Alla prima il re non fece in tempo a prendere parte: gli ateniesi non aspettarono le sue truppe, che pure avevano richiesto, ma sbaragliarono comunque l’invasore persiano. Nella seconda il re perse la vita, nell’estremo tentativo di bloccare il più a lungo possibile gli uomini di Serse e dare modo agli alleati di organizzare la difesa. Con lui, al passo, c’erano gli eroici fanti della guardia personale: i 300 del film 300, per intendersi.
Per arrivare al cospetto della statua di Leonida, fiero sul suo piedistallo, bastano due ore e mezza di auto da Atene. Magari qualcosa in più, considerato il traffico intorno alla capitale. Un viaggio breve, volendo. Ma lungo quei 200 chilometri abbondanti c’è Eleusi, la città-Stato votata al culto di Demetra, nel cui tempio si celebravano misteriosi riti. C’è Megara la colonizzatrice, che fondò fra l’altro Megara Iblea vicino ad Augusta, in Sicilia. C’è l’opulenta e colta Corinto, che si arricchiva gestendo i commerci via mare di qua e di là dell’istmo. Ci sono, appena fuori rotta, Nemea e Tegea. La prima era una delle quattro sedi dei Giochi panellenici, manifestazioni sportive a carattere sacro che coinvolgevano tutte le poleis dell’Ellade. Nella seconda sorgeva uno dei più importanti templi dedicati ad Atena Alea, opera di Scopas, scultore e archistar dell’antichità. Per non parlare della stessa Atene e di Sparta, con la vicina Mistra, spettacolare complesso di chiese, biblioteche, roccheforti e palazzi della città fortificata che fu l’ultima stella dell’impero bizantino. Insomma, si sa: in Grecia non si può muovere passo senza imbattersi in una testimonianza di uno splendido passato. Qui tutto è eroico, mitico, leggendario.
Ognuno viaggia come vuole. C’è chi lo fa in auto (i più), qualcuno in bicicletta. Ma c’è anche chi va a piedi. Ma non camminando, no: correndo. Un manipolo di selezionati “pazzi” arriva da ogni angolo del pianeta per partecipare a una delle competizioni più difficili, ambite e temute al mondo. Si chiama Spartathlon: 246,8 durissimi chilometri fra Atene e Sparta da coprire tassativamente entro 36 ore. A scandirli ci sono 74 check point (l’ultimo, il 75°, è Sparta, l’arrivo): hanno l’aspetto gentile del banchetto in cui trovare da bere e da mangiare. Ma ogni check point è anche un crudele cancello orario, vale a dire un punto in cui bisogna transitare entro un tempo massimo. Un minuto più tardi e sei fuori, squalificato. Anche se si tratta del 74°, ti sei già fatto più di 244 chilometri e hai l’arrivo ormai a portata di mano. Come dire: vietato dormire, vietato camminare troppo. Una cosa che fa tremare i polsi anche ai più consumati ultramaratoneti. Una competizione implacabile, “cattiva”, come si addice agli spartani. Se vuoi entrare nel mito, compiendo lo stesso tragitto coperto 2.500 anni fa da Fidippide, inviato dagli ateniesi a chiedere aiuto a Leonida contro i persiani, allora devi essere pronto. Perché dovrai correre sotto un sole che spacca le pietre e sotto la pioggia che ti entra fin nelle ossa. Ti mancherà l’ossigeno fra i tubi di scarico di auto e camion nel traffico della capitale e lungo le grandi arterie che portano finalmente fuori. Con 150 chilometri nelle gambe, dovrai scavalcare una montagna, di notte, su sassi scivolosi e fra cespugli traditori in salita e in discesa, solo con la tua piccola lucina frontale. A guardare da giù, dalla strada sicura dove transita il carrozzone dell’organizzazione e dei supporter al seguito degli atleti, sembra un corteo di lucciole che sale al cielo, inghiottito da un buco nero. Ma ci saranno anche i chilometri con il mare negli occhi, la pace delle stradine perse fra campi di ulivi e vigneti al tramonto, la gente dei paesi riversata in strada ad aspettare il tuo passaggio, che sei già un eroe anche solo per aver avuto il coraggio di immaginarti in una simile impresa. Ti sono grati perché rendi omaggio, nel più difficile dei modi, alla loro storia. Ti incitano, ti corrono accanto accompagnandoti per qualche decina di metri, e questo calore può più di una barretta energetica, di una botta di zuccheri. Ad Assos, per esempio. La Spartathlon la trasforma, per un giorno, nel centro della Grecia, facendone un luogo simbolico, una pietra miliare: è il centesimo chilometro. Una volta l’anno Assos, check point numero 28, ha il suo momento di gloria.
Correre giorno e notte per 246 chilometri, in un continuo saliscendi: “bisogna essere pazzi”, è il primo pensiero. Anche il secondo e il terzo, a dire il vero. Perché qui stiamo parlando di 6 maratone messe in fila, una dietro l’altra, senza una tregua. Anche il piccolo mondo degli ultramaratoneti, quelli abituati a correre per 24 ore di fila su un circuito di un chilometro, sempre in tondo, sempre con lo stesso scenario, come criceti sulla ruota (sì, esistono anche queste competizioni…), guarda alla Spartathlon con timore, con spavento persino. I cancelli orari frantumano l’equilibrio mentale di chi è abituato a pensare di avere il diritto di concedersi qualche decina di minuti di pausa, e pazienza se alla fine il contachilometri personale ne segnerà qualcuno in meno. Ma chi ama la Spartathlon la ama anche per la sua durezza, per quell’aura eroica che la avvolge, per la sua valenza storica e il carico di intensa umanità che ti accompagna metro per metro. C’è chi non riesce a farne a meno e ogni settembre, cascasse il mondo, si presenta alla partenza all’Acropoli, che è difficile immaginare un luogo più simbolico ed emozionante per dare inizio a un’impresa. Certo, anche questi atleti, che fanno cose mai viste e di cui nessuno sente mai parlare, sono mossi da motivazioni diverse. C’è chi corre per la prestazione, e sente e vede solo il proprio corpo all’opera. E chi invece “viaggia”, e di ogni chilometro non ricorda il cronometro ma un profumo, un sapore, un panorama, un contatto. Per Lorena Brusamento la Spartathlon è “il” viaggio. Sa che tutti le chiederanno come si è preparata, che ritmo ha tenuto, come ha organizzato la gara, quando ha corso e quando ha camminato, che cosa ha mangiato, quanto tempo ci ha messo. Lei sbriga velocemente la formalità e mentre racconta tecnicamente di un certo tratto pensa al sapore del fico che ha gustato proprio lì, ed è ciò che le importa. Ricorda i cespugli che sono stati le sue poco private toilette vista mare, ogni incontro occasionale, chi le ha detto cosa e in quale momento, i diversi compagni di avventura con cui ha compiuto parti del suo viaggio, cosa c’era intorno, l’isola di Salamina, il vertiginoso canale di Corinto, un taglio netto e verticale nella roccia a mettere in collegamento il golfo di Corinto con il mar Egeo. Così, nel 2015, Lorena ha portato a termine l’impresa, che non è arrivare primi ma arrivare: meno della metà dei parteciparti riesce ogni anno a completare il percorso entro le 36 ore. Se sei un “finisher” sei un eroe. Lei, comunque, è la seconda donna italiana di sempre a esserci riuscita. E tanto le è valso la maglia della nazionale italiana ai campionati europei sulla 24 ore che si terranno a ottobre in Francia.
Nel 2014 aveva “assaggiato” il percorso: era partita con una caviglia malandata che ha interrotto il suo viaggio al 150° chilometro, ai piedi della montagna. Un anno dopo è ripartita da lì, con “sacche da preparare, dove lascio, cosa lascio, quanti check, quanti contatti con i supporter, briefing, farà caldo, forse piove, non ci voglio pensare, sto bene, ho male…”. È il flusso dei suoi pensieri. “Voglio vivere ogni chilometro e non importa a che punto il mio viaggio finirà… voglio viverlo e portarlo dentro nella mente e nel cuore”, si dice. Lorena non corre mai ascoltando la musica (qui, fra l’altro, non si può, figuriamoci…), perché le farebbe perdere quel che c’è intorno. Non porta mai occhiali da sole, stringe la sua bottiglietta d’acqua in una mano, nell’altra tiene i fazzoletti di carta, che non sai mai quando potresti averne bisogno. E corre con i suoi pensieri, un viaggio nelle gambe, negli occhi e nella mente. Non è sufficiente avere il fisico per simili imprese; prima di tutto bisogna avere la testa. La testa capace di ascoltare il corpo, assecondarlo, ma anche governarlo, blandirlo per farsi dare quello che non vuole cedere, per passargli la forza quando gli manca, per distrarlo nelle lunghe ore di fatica, che zittisce la vocina che ripete “questo è troppo, basta”. La mente che“asporta” i pezzi dolenti o doloranti, li cancella e il dolore svanisce. L’istinto del corpo placherà la mente nelle sue paure notturne, nella solitudine.“Quando arriva la notte tutto cambia, il paesaggio diventa un insieme di ombre e forme indefinite, si sentono i profumi e pochi rumori… i latrati dei cani, i passi, il battito del cuore, il respiro. Non ho paura, sono serena”. I check point illuminati diventano piccole oasi da raggiungere, un’improvvisa esplosione di vita. Chi la aspetta scruta la strada, costringe lo sguardo a frugare nel nero per scorgere quella lucina che sveli l’inconfondibile incedere del suo passo sempre composto. Arriva Lyrkia, a 250 metri di altitudine, dove raccontano il passato remoto della Montagna, il Partenio, dove – secondo Le Storie di Erodoto – Fidippide incontrò Pan. Il dio si lamentò delle poche attenzioni che gli riservavano gli ateniesi. L’emerodromo, una volta consegnato il messaggio a Leonida (e tornato indietro con la risposta!), non mancò di riferire quanto dettogli sulla montagna. Visto l’ottimo esito della battaglia di Maratona, gli ateniesi ritennero che in effetti Pan fosse meritevole della loro devozione e gli eressero un tempio.
Da Lyrkia la strada sale senza sosta, 800 metri di dislivello in circa 12 chilometri, gli ultimi trecento su un ripido sentiero. Piove a dirotto. Dopo una giornata torrida, una notte fradicia. Va sempre così, alla Spartathlon. Arriva l’alba, smette di piovere, ricomincia, si sale ancora e ancora, poi una discesa che fa gridare le ginocchia. A Voutiani mancano “solo” 10 chilometri. Da lì in alto si vede Sparta. Lorena sa com’è l’arrivo, quel viale Kontantinou Palaiologou colmo di gente, non per il solito struscio del sabato, ma due ali di persone che aspettano lei, che aspettano loro. Un tripudio di bandiere, grida, applausi, bambini che corrono con te, tu che arrivi davanti ai pochi gradini che ti portano al cospetto del re, gli tocchi il piede e hai finito, sei Fidippide, sei un eroe, hai vinto, che tu ci abbia messo 20 ore o 36 meno un minuto. “Svolta a destra… un rettilineo… ancora svolta a destra”, si dice, ed eccolo il viale, ecco la gente, i bambini, le grida, lei corre come se non avesse 246 chilometri alle spalle, 34 ore senza sonno, gli ultimi metri, i gradini e finalmente il piede del re, le due mani appoggiate, il capo chino rigato di lacrime. Mica solo il suo, eh. Anche chi l’ha seguita come supporter, e ha compiuto un suo proprio, personalissimo, parallelo viaggio, arriva gonfio di emozioni che non sa trattenere. Anche se la corsa non è la sua vita, anche se si è avvicinato all’esperienza senza saperne nulla e pensando: è una cosa da pazzi. Piano piano è stato coinvolto, travolto, ha capito ma forse no, certo non tutto, è impossibile, ha sentito, partecipato a una cosa da pazzi che non saprebbe come fare e che in fondo, anche alla fine, non potrà mai cogliere davvero.
Il viaggio è finito. “Spartathlon ti insegna a cercare la forza che hai dentro, a scavare nel profondo fino a trovarla. Nel tuo piccolo cuore ti senti un eroe, anche tu hai percorso il lungo viaggio verso il re, il tuo re, che è il tuo io, il tuo inconscio. Hai viaggiato giorno e notte, con il caldo, il freddo, la pioggia, stanca, distrutta, per arrivare a conoscere il tuo io più profondo e scoprire la meraviglia che hai dentro e che nessuno può toccare”, dice Lorena.
Venerdì 30 settembre, Acropoli, ore 7: il lungo viaggio di quasi 400 aspiranti eroi è cominciato. A Sparta, Leonida punta lo sguardo in direzione est-nordest. Se non proprio verso Atene, quasi. “Molòn labé”, “Venite a prenderle”, c’è scritto sul piedistallo: è la frase più celebre del re. Parlava delle armi, Leonida, e lo diceva a Serse che, prima di attaccare, aveva chiesto agli spartani di deporle. Venite a prendervi la gloria e la fama, potrebbe essere l’invito ai Fidippide partiti oggi. Il re aspetta che arrivino ai suoi piedi. Domani qualcuno ce la farà.
INFO
Spartathlon 2016
30 settembre-1 ottobre
www.spartathlon.gr
Lorena Brusamento
Pagina facebook “Lorena Brusamento atleta”