Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, ne sa una più del diavolo. La conferma è arrivata con la presentazione dei risultati semestrali della sua banca, la Cassa di risparmio di Ravenna, che ha girato la boa di giugno con un utile semestrale in crescita dell’1,5% a 9,5 milioni di euro “pur in uno scenario nazionale ed internazionale non favorevole”. E già qui tanto di cappello: molti suoi colleghi piangono invece miseria e lamentano una redditività bassissima o addirittura negativa imputandone la colpa non tanto alle proprie inefficienze, quanto piuttosto alla politica monetaria ultraespansiva che ha spinto i rendimenti in territorio negativo.

Il capolavoro di Patuelli è però un altro: mentre la comunità finanziaria, quella accademica e – nel loro piccolo – le numerose “guide all’investimento” pubblicate dalla stessa Abi in questi anni indicano nella diversificazione (anche territoriale) del portafoglio uno dei principi cardine per ridurre i rischi, la Cassa di Ravenna al contrario ritiene che la diversificazione sia una pericolosa fonte di rischio. Sottolineando che i coefficienti di vigilanza sono “ben superiori a quelli richiesti dalle normative europee” con il Common Equity Tier 1 al 16,12%, e il Total Capital Ratio addirittura al 22,6%, l’istituto presieduto da Patuelli ha precisato inoltre che “assai prudenzialmente, [la Cassa di Ravenna, ndr] non detiene titoli né obbligazionari esteri, né azionari esteri”.

In buona sostanza, l’intero patrimonio è concentrato – oltre che su un cospicuo patrimonio immobiliare – su azioni e obbligazioni italiane, con buona pace del rischio di choc sistemici. E questa scelta la fa addirittura passare come scelta “assai prudenziale”. A vigilare sulla Cassa di Ravenna è la Banca d’Italia (di cui la banca di Patuelli è azionista), la quale non ha ravvisato alcun problema, tanto che l’ispezione avviata nel primo semestre 2016 “si è conclusa con esito positivo”, come informa la nota della banca ravennate. Evidentemente la scelta prudenziale di investire l’intero patrimonio in immobili e titoli italiani è condivisa anche dall’autorità di vigilanza, che peraltro non ha avuto nulla da dire nemmeno sulla vendita di obbligazioni subordinate alla clientela retail con tecniche molto discutibili, come denunciato da ilfattoquotidiano.it, nonostante Via Nazionale avesse già emanato una raccomandazione agli istituti di credito invitandoli “a osservare con scrupolo gli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza applicabili nell’attività di collocamento di prodotti finanziari che possono essere sacrificati in caso di risoluzione”.

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