Concorso esterno con la ‘ndrangheta. Il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato a 15 anni l’ex vicepresidente della Reggina Calcio Gianni Remo. La stessa pena è stata inflitta al fratello, Pasquale Remo. Il boss del quartiere Gebbione Michele Labate è stato condannato a 22 anni di carcere. Unica assolta è la moglie di Gianni Remo, Maria Romeo.
La vicenda risale a un paio di anni fa quando i carabinieri del Nucleo operativo di Reggio eseguirono un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta del pm Stefano Musolino. Dopo essere stato assolto nel 2009 nel processo “Gebbione”, Gianni Remo era stato arrestato assieme al fratello Pasquale e al cognato, il boss Michele Labate. Al centro dell’inchiesta c’è il settore della commercializzazione delle carni nel quale la famiglia Remo aveva grossi interessi che si intrecciano con quelli della cosca Labate, conosciuta in città con il soprannome dei “Ti Mangio”.
Avvalendosi della forza intimidatrice della ‘ndrangheta, il numero 2 della Reggina Gianni Remo, secondo l’accusa, avrebbe imposto le sue imprese sul mercato attraverso “estorsioni e attività di concorrenza sleale nei confronti degli altri imprenditori operanti nel settore della macellazione”. In sostanza, gli scagnozzi della cosca “minacciavano la clientela, affinché non si rifornisse più presso l’impresa di Umberto Remo”, lo zio con cui erano entrati in contrasto i due fratelli Gianni e Pasquale. Così facendo, la clientela veniva indirizzata verso le macellerie “riferibili alle comune cosca di ‘ndrangheta ovvero ad imprese gestite da soggetti collusi o contigui”. Come se non bastasse, sempre grazie al sostegno dei Labate, i due imprenditori arrestati avrebbero costretto lo zio a cedere un capannone industriale a un prezzo inferiore a quello di mercato.
I carabinieri sono riusciti a ricostruire tutti i passaggi grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte per la cattura di Michele Labate che, tra l’altro, era latitante nel periodo in cui erano stati indagati i fratelli Remo. Al termine della camera di consiglio, l’impianto accusatorio della Dda è stato condiviso dal Tribunale che ieri sera ha emesso una condanna esemplare per gli imprenditori reggini imparentati con i boss.