Renzi e Zagrebelsky hanno fatto segnare all’auditel una media di circa 3 milioni di spettatori, e non di quelli raccogliticci, perché in media ognuno è stato lì ad ascoltarsi il programma per una cinquantina di minuti, ovvero per un terzo della lunga durata totale.
Quanto basta (ma c’è anche la lievitazione costante degli ascolti settembrini di Lilli Gruber) a farci capire che la cosiddetta opinione pubblica (e particolarmente quella larghissima parte che nei sondaggi sulle tendenze di voto tra il Sì e il No finisce classificata fra gli indecisi) comincia ad alzare gli occhi sul merito del referendum, tanto più che nel frattempo è stata fissata la data di voto del 4 dicembre.
In altri termini, dopo che dalla primavera all’estate il campo è stato occupato da quelli che un orientamento già ce l’avevano, in base alla opzione politica di voler proseguire o interrompere la traiettoria del “renzismo” (da cui la coincidentia oppositorum che vede la confluenza del populismo trasversale, della sinistra d’antan e del fascio leghismo più recente), ora tocca agli “altri”, che per andare a votare senza farsi semplicemente prendere a spintoni, vorrebbero raccapezzarsi nel merito.
Quell’ascolto ci dice anche che la formula del “faccia a faccia” è una ottima macchina narrativa, molto più dei talk show “pluralisti”, con galli e galline che chiocciano il loro verso a pro’ del rafforzarsi dentro i loro stessi partiti o come diavolo si chiamano.
Ma bisogna anche notare il ruolo e il peso tutto particolare che il gruppo Cairo sta acquisendo in questa fase. Da un lato il solido posizionamento di La7 nel campo della informazione politica si sta rivelando efficace nelle circostanze del momento (non solo quelle interne). Aggiungi una evidente maggiore cura nella confezione del palinsesto e una buona scelta consolidata nell’estate, di film tutti a loro modo “classici”, che di certo hanno suscitato simpatia generazionale anche da parte di chi non è stato lì a rivederseli. Il risultato è, a nostro avviso, un aumento del “pregiudizio di simpatia” riscosso dal marchio televisivo.
E poi deve avere influito, continuiamo ad almanaccare, che ritrovandosi nello stesso gruppo con il Corriere della Sera acquistato dall’editore della televisione, La7 è definitivamente uscita, almeno agli occhi del pubblico uso a tenere d’occhio sia il video che la carta stampata, dall’ambito del “minore”.
Di certo la sinergia fra tv di parola e parola scritta crea una fatto di peso nel campo della industria della informazione. Questo pensavamo stamane, freschi della conoscenza dell’auditel di ieri sera, trovando sul Corriere della Sera un numero inusuale di solidi interventi sulla Politica (Galli della Loggia sul senso, svanito, della “Destra”), sulla Università (Abravanel, sulla cura della “parentopoli” senza nuove, inutili, leggi), sul Populismo (Irti: “gli illuminati o si fanno illuminanti o si spengono in irosa solitudine”). E potremmo citare dell’altro.
Quanto è bastato a incuriosirci. Siamo ai primi risultati di un business model, tra la gossip press e l’autorevolezza, con la tv a mo’ di cerniera, perseguito dal nuovo editore? O sono solo agli effetti di un incrocio di circostanze casuali e non volute?
E La Repubblica deve preoccuparsi o stare serena?