Sono rimasto sorpresissimo dalla cattiva prestazione del professor Gustavo Zagrebelsky contro il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ieri a #SìoNo trasmesso ieri sera in diretta televisiva da La7. Prima di addentrarmi nel commento, voglio destinare un particolare plauso per il vero e proprio servizio pubblico prestato da questa televisione privata, così come un altro plauso va al giornalista moderatore, Enrico Mentana, che ha ideato e organizzato la trasmissione in nome di un confronto delle idee che è senza dubbio prezioso e utile per gli spettatori. Lo sforzo di Mentana è stato premiato a dovere dai dati Auditel: il faccia a faccia di ieri è stato seguito in media da 1.747.000 persone, pari all’8,04% del totale, superato solo da un varietà su Rai 1 (21,84% di share) e da una serie tv su Canale 5 (13,68%).
Perché il confronto di ieri era interessante? Vari motivi. Anzitutto, Zagrebelsky presso la grandissima maggioranza degli elettori di sinistra, di centrosinistra, e dei renziani più osservanti stessi gode di un favore enorme e profondo. E’ considerato da moltissimi il più grande costituzionalista vivente. Potenzialmente, è un opinion maker in grado di influenzare il voto di molti milioni di elettori, soprattutto fra gli indecisi e fra chi è orientato su un timido Sì. Renzi poi aveva tutto da perdere: se si fosse mostrato sbruffone o inelegante nei confronti del professore, avrebbe fatto una pessima figura e alienato voti alla causa del Sì.
Mi aspettavo dunque che Zagrebelsky avrebbe demolito la riforma costituzionale su cui votremo il prossimo 4 dicembre in modo chirurgico e super tecnico, citando commi e controcommi, mettendo in risalto le eventuali incongruenze della riforma. Niente, o pochissimo, di tutto questo: il professore ha invece più volte divagato, è andato sull’attacco politico contro Renzi, ha parlato troppo di legge elettorale – che dai tempi di Weimar nessuno mai si azzarda a inserire in Costituzione – e che comunque il capo del governo ha rimesso sul tavolo della discussione (secondo me, sbagliando assai, ma ne riparleremo).
Il sommo giurista ha farcito una prestazione deludente con un sacco di inesattezze, imprecisioni e falsità prontamente sottolineate da Renzi (quella sui senatori a vita che durano in realtà 7 anni è forse la più notevole). Al termine del dibattito ho capito che Zag è contrario all’idea di democrazia nella quale chi prende un voto in più del suo opponente al ballottaggio poi governa a capo di un monocolore, un concetto meravigliosamente racchiuso nella sua frase “in democrazia le elezioni non si vincono“. Lui preferisce un sistema proporzionale senza premi di maggioranza nel quale i governi non possono essere stabili, sacrificando la stabilità sull’altare della rappresentanza di tutte le istanze, anche di chi prende lo 0,7% dei voti.
Come ha ben descritto il collega Alessandro Gilioli su l’Espresso: per Zagrebelsky la democrazia è “un insieme di regole, comportamenti, soppesamenti, bilanciamenti, garanzie, limiti, collaborazioni e confronti: e questo, secondo lui, è ciò che rende migliore una democrazia diffusa da una plebiscitaria.” E’ un tipo di mentalità che conosco bene dai miei studi giuridici, una mentalità da teorici, che manca completamente dell’aspetto pragmatico di chi poi deve effettivamente governare e approvare le riforme che servono agli esodati, ai pensionati, agli insegnanti di scuola, alla classe media, ai poveri, ai migranti, agli artigiani, agli imprenditori, ai disoccupati, cioè a noi tutti.
Dall’altra parte dello studio, il Presidente del Consiglio è tornato più e più volte sul testo della riforma, leggendolo, commentandolo, dimostrando in modo plateale al professore che le sue affermazioni erano imprecise. Renzi ha dimostrato una sofferenza, suppongo reale e sentita, nel dover correggere colui che per più volte ha identificato come il suo maestro, “sui cui libri ho studiato”. Ma in effetti il prof meritava di essere corretto, trattandosi di un faccia a faccia tecnico.
Molto bravo, infine, Renzi a rimanere su un piano di rispetto, anche quando Zag in un paio di passaggi lo ha trattato da studente e non da Presidente del Consiglio, all’interno di un confronto per altro in generale assai educato ed elegante da parte di entrambi. Renzi ha preso i colpi bassi ma non ha risposto a tono e non ha perso mai di vista il dettaglio tecnico degli articoli riformati.
Badate che la mia critica alla prestazione del Professore non tiene minimamente conto della sua ovvia inadeguatezza ai tempi e alle dinamiche della comunicazione televisiva: è ovvio che un accademico di 73 anni, abituato da una vita ai ragionamenti lunghi e complessi, alle frasi ricche di subordinate, a parlare ex cathedra, si ritrovi in difficoltà nei tempi di un dibattito televisivo, in particolare se contro un uomo politico tanto più bravo nella comunicazione televisiva destinata alle masse.