La premier britannica annuncia le tappe del calendario per l'uscita del Regno Unito dall'Europa. Nei due anni le leggi europee attualmente vigenti nel Regno Unito saranno riconvertite in leggi nazionali. Sui diritti degli immigrati, dal lavoro alla salute, la May garantisce ma i suoi ministri lasciano intendere che alcuni saranno in discussione
“Facciamo sul serio. Brexit significa Brexit, e ne faremo un successo. Torneremo ad approvare le nostre leggi e a decidere per noi stessi”. A Theresa May sono bastati 15 minuti di discorso appassionato e retorico, sul palco del Congresso del Tories in corso a Birmingham, per annunciare, almeno nelle linee generali, tempi e modi del processo che porterà il Regno Unito fuori dall’Unione Europa. E per delineare la sua visione del futuro del suo paese come “potere globale”, sovrano e indipendente.
Un discorso, interrotto da frequenti applausi dei delegati conservatori, che rappresenta il primo annuncio ufficiale del governo dopo il referendum dello scorso 23 giugno. Ed è un annuncio storico, il primo e tanto atteso passo verso la vera e propria uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Ecco i punti principali.
I TEMPI: L’Articolo 50 del Trattato di Lisbona verrà invocato “non oltre la fine di marzo 2017”. La May ha presso atto delle pressioni, nel suo stesso partito e da parte di Brussels, per invocarlo al più presto, ma ha anche riconosciuto la necessità di arrivare preparati all’inizio dei negoziati. E questo richiede altro tempo, visto che la pubblica amministrazione britannica non ha ancora le risorse economiche e i negoziatori per far fronte all’impresa. Poiché il Trattato prevede che i negoziati durino al massimo due anni, ecco che arriviamo ad una data certa per l’uscita definitiva: marzo 2019.
Intanto, nel prossimo discorso della Regina, previsto per aprile del prossimo anno, sarà inserito il Great Repeal Bill, una proposta di legge governativa per abrogare l’European Community Act del 1972. In pratica, le leggi europee attualmente vigenti nel Regno Unito saranno riconvertite in leggi nazionali.
Lo scopo è duplice: da una parte evitere uno spaventoso vuoto legislativo, visto che leggi e norme europee fanno funzionare il Regno Unito dal 1973. Dall’altra, diventando leggi britanniche potranno essere riviste o respinte dai Parlamenti nazionali, e applicate da magistrati britannici. “Le leggi europee non avranno più autorità in Gran Bretagna”. È il messaggio finale. Un messaggio populista e una sfida diretta a Bruxelles che accarezza la pancia del Leavers di ogni schieramento politico.
IL PROCESSO: l’alternativa fra hard exit e soft è una ‘falsa dicotomia”, portata avanti da chi non accetta la volontà popolare, chiaramente espressa dal voto – ha detto la May. Il primo ministro britannico ha chiarito che il Regno Unito ha votato per lasciare l’Unione Europea e recuperare la propria sovranità. “Non seguiremo né il modello norvegese né quello svizzero. Quello che avremo sarà un accordo fra un Regno Unito sovrano e l’Unione Europea”.Quanto al compromesso suggerito da alcuni commentatori nelle passate settimane, la May ha detto esplicitamente che non accetta l’idea dell’accesso al mercato unico europeo in cambio di concessioni sul libero movimento delle persone. Il suo obiettivo è ottenere la massima libertà di commercio conservando autonomia legislativa sull’immigrazione.
Ed è proprio sui diritti dei lavoratori immigrati che si spera di avere presto maggiore chiarezza. In un passaggio veloce ma cruciale del suo discorso, il primo ministro ha dichiarato che “le attuali prerogative legali dei lavoratori continueranno ad essere garantite – e saranno garantite finché resterò primo ministro”.
Una rassicurazione politicamente importante, sia per gli elettori (alcuni sindacati hanno fatto presente come le leggi europee proteggano dagli abusi anche i lavoratori britannici) che per i molti stranieri. Del resto, lo slogan che definisce il governo della May, ed è stato ripetuto più volte durante il suo discorso, è “Un Regno unito per tutti, non solo per pochi privilegiati”. Ma è lecito chiedersi: per “tutti” si intende chiunque risieda oggi nel Regno Unito o solo i cittadini britannici?E quando il Parlamento tornerà sovrano in materia legislativa, come potrà la May impedire eventuali leggi discriminatorie nei confronti degli stranieri?
I primi segnali non rassicurano. Il Ministro della Salute Jeremy Hunt ha fatto capire stamattina, in un’intervista al Mail on Sunday, che dopo l’uscita dall’Unione il numero di medici europei impiegati dal servizio sanitario pubblico potrebbe diminuire, mentre potrebbero aumentare gli studenti britannici ammessi alle facoltà di medicina. Il suo omologo ai Trasporti Chris Grayling ha dichiarato che alcuni dei diritti lavorativi dei cittadini europei nel Regno Unito saranno mantenuti, facendo intendere che altri siano invece in discussione.
La stessa May, in un’intervista alla BBC andata in onda stamattina, a una domanda sulla possibilità di introdurre dei “permessi di lavoro” per stranieri ha risposto “Stiamo valutando come introdurre i controlli che gli elettori hanno indicato di volere. Ma anche, in continuità con il nostro tradizionale approccio all’immigrazione, vogliamo assicurarci che i migliori talenti possano venire nel Regno Unito”. In sintesi, un’immigrazione basata su una selezione per qualifiche e, presumibilmente, reddito. Una hard-exit, dopo tutto.