L’accordo tra governo e guerriglieri non basta. I colombiani hanno votato no all’intesa per far terminare la guerra tra Bogotà e le Farc. Il referendum doveva ratificare la stretta di mano tra il presidente Juan Manuel Santos e il rappresentante delle Fuerzas Armadas Revolucionarias e invece sono prevalsi i contrari, per circa 65mila voti. Un risultato a dir poco sorprendente, che ha lasciato di stucco la stessa Colombia, oltre che gli osservatori internazionali. Un esito che ha messo in evidenza, in ogni caso, un Paese spaccato: gran parte dell’opinione pubblica non ha voluto dare via libera al reinserimento nella società agli uomini delle Farc, o almeno non nei termini dell’accordo voluto dal governo dopo negoziazioni durate anni sul “campo neutro” dell’Avana.

Erano stati proprio Santos e “Timochenko” a firmare lunedì a Cartagena de las Indias l’accordo di pace. Per sigillare tale pacificazione mancava un ultimo passo, e cioè il parere del popolo. Secondo le prime analisi di un voto-shock per il Paese, i sì si sono imposti nelle aree più colpite in questi anni dal conflitto, mentre i no hanno invece vinto nelle città. A essere chiamati al voto sono stati quasi 35 milioni di colombiani, i quali hanno risposto al seguente quesito: “Sostieni l’accordo finale per terminare il conflitto e per la costruzione di una pace stabile e permanente?”. Nell’esito del voto ha pesato la forte astensione, pari a circa il 60%.

Per Santos l’esito del voto è in altre parole un pesante ko politico. L’opposto invece per il suo rivale e predecessore, Alvaro Uribe, strenuo difensore del no. Santos, nonostante la sconfitta, insiste: “Il cessate il fuoco è bilaterale e definitivo, non mi arrenderò: cercherò la pace fino all’ultimo giorno del mio mandato”. Nel precisare che il risultato del voto “non deve destabilizzare il Paese”, Santos ha inoltre detto che intende convocare oggi “le forze politiche” della Colombia, “in particolare quelle del no, al fine di ascoltarle e stabilire la strada da seguire”. Il presidente ha inoltre annunciato che invierà all’Avana, dove in questi anni si sono svolte le trattative di pace, un gruppo di negoziatori per informare i rappresentanti del gruppo guerrigliero sulla situazione e per cercare una via d’uscita alla crisi. L’ex presidente colombiano Uribe – principale promotore del “no” all’accordo con le Farc – si è detto disposto a partecipare a un “grande patto nazionale” per porre fine alle attività della guerriglia, ma ha già fissato una serie di paletti per ogni trattativa futura. “Ci sembra fondamentale che in nome della pace non si mettano a rischio i valori stessi che la rendono possibile”, ha detto il leader del centrodestra colombiano in una dichiarazioni ai media, aggiungendo che sono necessarie “correzioni” all’accordo firmato da Santos e uno dei capi delle Farc “Timochenko”.

Parole di distensione arrivano anche da Londono che ribadisce la “volontà di pace”: “Le Farc ribadiscono di essere disponibili a usare solo la parola come arma di costruzione del futuro” ha detto il leader del gruppo guerrigliero. In una breve nota diramata da Cuba, “Timochenko” sottolinea il “profondo dispiacere delle Farc sul fatto che il potere distruttivo di chi semina odio e rancore abbia influito sull’opinione pubblica colombiana”. Dopo il risultato del referendum, le Farc affrontano ora “come movimento politico una sfida” ancora più grande per poter “costruire una pace stabile e durevole”, aggiunge Londono, il quale, dirigendosi “al popolo colombiano”, si è detto sicuro che “la pace trionferà”.

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