La guerra dei Rolex continua. Che fine hanno fatto gli orologi regalati alla delegazione italiana a Riad? Li hanno restituiti tutti? Chi li custodisce? E quanto valgono esattamente? Dodici senatori del Movimento 5 Stelle, capitanati dal questore Laura Bottici (nella foto), sono tornati all’assalto di Palazzo Chigi e, con un’interrogazione chiedono alla ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, «notizie, dati o documenti» sui Rolex suddetti. Non solo: vogliono anche «notizie, dati o documenti» su tutti «i doni di rappresentanza ricevuti dal Governo italiano e custoditi a Palazzo Chigi negli ultimi dieci anni», oltre che sull’«attuazione ed esecuzione del D.P.R. 2013 numero 62», il cosiddetto decreto Patroni-Griffi, che vieta ai dipendenti pubblici di accettare «regali o altre pubbliche utilità» del valore «orientativamente» superiore a 150 euro. Per ministri e capi del Governo, invece, il limite fissato da Romano Prodi nel 2007 era, ed è tuttora, di 300 euro. Sono limiti che in ogni caso, durante il viaggio a Riad, sono stati ampiamente superati per tutti. Grazie ai famosi Rolex, per l’appunto.
TESTA A TESTA Una prima richiesta di accesso agli atti presentata dalla Bottici a gennaio è stata respinta dalla presidenza del Consiglio perché l’Ufficio controllo interno, trasparenza e integrità non ha «ravvisato alcun obbligo di pubblicazione delle informazioni relative ai doni di cortesia ricevuti», come ha spiegato ufficialmente il segretario di Palazzo Chigi, Paolo Aquilanti. La Bottici ha fatto ricorso al Tar, che il 28 luglio le ha dato ragione ingiungendo alla presidenza del Consiglio di esibire i documenti richiesti. Vittoria? Macchè. Nuova opposizione di Palazzo Chigi, stavolta davanti al Consiglio di Stato, che il 15 settembre è intervenuto sospendendo l’efficacia della sentenza del Tar in attesa della trattazione del merito del giudizio. Risultato: «Documenti blindati per l’ennesima volta», s’indigna la senatrice. Che non si arrende: «Vedremo chi ha la testa più dura, se noi o la presidenza del Consiglio».
CACCIA AL TESORO I Cinque stelle avevano inutilmente chiesto di accedere anche alla «stanza del tesoro», il caveau in cui a Palazzo Chigi sono (o dovrebbero essere) custoditi tutti i doni di Stato. L’ha voluta Romano Prodi alla fine del 2007, rompendo con la lunga tradizione fai-da-te dei suoi predecessori: Francesco Cossiga, per esempio, rifiutava con ostinazione ogni tipo di regalo, spedendo due carabinieri a casa dell’improvvido donatore con l’ordine di non tornare senza una ricevuta di restituzione. Altri invece avevano preferito tenersi i doni ricevuti da politici e capi di Stato, come Bettino Craxi, la cui eredità è poi tornata allo Stato italiano che nel 2015 ha messo tutto all’asta. Per esempio, l’acquaforte ricevuta nel 1986 dall’allora sindaco di Parigi Jacques Chirac (650 euro il valore finale), o il pugnale del Regno di Galilea, datato VI secolo, regalato da Shimon Peres (4mila euro) e la statuetta fenicia di Osiride, dono del presidente libanese Helias Hraoui (1.100 euro).
REGOLE AUREE Prodi per la prima volta ha stabilito delle regole precise, ponendo un tetto di 300 euro ai regali liberamente fruibili dai membri del Governo (e dai loro congiunti) e imponendo l’obbligo di consegnare il resto all’amministrazione, che avrebbe provveduto a conservarlo, stimarlo e poi cederlo «per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e di beneficenza». Lui stesso, lasciando Palazzo Chigi, aveva destinato i regali ricevuti a tre diverse associazioni: Libera, la Casa Santa Chiara di Bologna e i Medici con l’Africa. E i beni erano andati all’asta il 2 dicembre 2009 a Genova, sotto gli occhi divertiti di don Ciotti, che alla fine della prima giornata poteva gioire per un incasso di quasi 50 mila euro.
AVANTI MIEI PRODY Nel tesoretto lasciato da Prodi – l’unico, finora, di cui ci sia un elenco ufficiale e pubblico – c’era di tutto, da un Winchester con il calcio in lapislazzulo, tempestato di «diamanti naturali» e zaffiri cabochon (dono del re dell’Arabia Saudita, se lo è aggiudicato Riccardo Garrone, petroliere, ex presidente della Sampdoria e accanito cacciatore, per 5.500 euro) a una scultura d’argento dorato riproducente un palmeto con tanto di datteri in pasta di vetro e base in malachite, passando per un servizio da tè con dedica a «Romano Prody», un rosario di Tiffany, due parure di gioielli, un orologio di Bulgari e un vaso di onice con gazzelle d’argento. Insomma, il trionfo del kitsch di Stato.
L’ELENCO DI RENZI Nulla s’è mai saputo, invece, di eventuali aste o donazioni per i regali dell’era Berlusconi (tra cui due cammelli, gentile dono di Gheddafi). Nessuna notizia pubblica neanche sull’epoca di Mario Monti. Tutto dovrebbe, quindi, essere ancora custodito nel caveau di Chigi. Quanto a Renzi (tra i doni già noti, oltre al Rolex di Riad, una bicicletta Shimano del governo giapponese, già usata per una vacanza), ha promesso che a fine mandato farà un elenco coi regali ricevuti, quelli che restano allo Stato (arredi, tappeti, quadri) e quelli che andranno all’asta. O che rimarranno a lui, dietro pagamento della differenza tra i 300 euro consentiti e il reale valore dell’oggetto.
SILENZIO D’ORO A Bottici e colleghi rimane però qualche dubbio. «Perché i doni non vengono resi pubblici a mano a mano che il presidente del Consiglio li riceve? E dov’è l’elenco dei doni ricevuti dai funzionari di Palazzo Chigi, come i famosi Rolex? Chi esattamente ha in custodia il tesoretto? E chi ne stima il valore?» Il sito della presidenza del Consiglio tace su tutti i fronti. Ma è difficile capire anche come si comportano i vari ministeri. Ognuno custodisce, valuta e vende per conto suo i doni ricevuti dai vari ministri (e dipendenti)? O c’è un ufficio centrale che sovrintende a tutti i doni di Stato?