Federico Pizzarotti dice addio e Parma perde le sue Cinque stelle. Non più separati in casa, non più in lite continua, ma ormai su due strade diverse che difficilmente si incroceranno di nuovo. Il momento del divorzio tra Pizzarotti e il Movimento 5 Stelle è arrivato. L’addio, dopo anni tormentati di fratture e tentativi di chiarimento, l’ha dato proprio il sindaco di Parma in una conferenza convocata lunedì 3 ottobre. “Senza Beppe Grillo non mi sarei mai alzato dal divano e non sarei davanti a voi e i miei cittadini – esordisce – ma quello che è avvenuto dopo è un cambiamento del M5s. Sono un uomo libero, che si è sempre preso le proprie responsabilità e da uomo libero non posso che uscire da questo Movimento 5 Stelle come è diventato oggi”. Un passo non semplice, come ha ammesso il sindaco, “ma qualcuno deve farlo, devo fare quel passo che né il garante, né il direttorio, né il leader in pectore hanno voluto fare. È evidente che non si è voluta ricomporre una situazione che poteva essere ricucita. A noi è stato vietato di sedersi intorno a un tavolo, parlare e trovare soluzione”. Al suo fianco ci sono i fedelissimi di sempre, a cominciare dal capogruppo Marco Bosi, gli assessori e gli altri consiglieri di maggioranza, le facce serie mentre Pizzarotti parla come un fiume in piena, anche se per il momento il gruppo non uscirà formalmente dai Cinque stelle.

L’elezione nel 2012 – Di fronte a loro, ad ascoltare l’epilogo della storia di uno dei volti più noti tra i sindaci italiani e tra i Cinque stelle, c’è tutta la stampa nazionale riunita. È la stessa che quattro anni e mezzo fa, a maggio del 2012, aveva assistito quasi incredula all’elezione del primo grillino alla guida di una città capoluogo di provincia, un informatico diventato sindaco in una città uscita disastrosamente da quindici anni di centrodestra, con un buco di oltre 800 milioni di euro. Un trionfo del Movimento ancora prima della conquista di Roma e del Parlamento, che aveva fatto diventare Parma nel giro di pochi giorni la capitale dei Cinque stelle. Da allora, sono molte le cose cambiate. Lo ammette Pizzarotti, che fatica, durante il suo sfogo, a non parlare più di “noi”, riferendosi ai Cinque stelle. Ma così è.

La rottura e l’isolamento – Nella città ducale Beppe Grillo non si è più visto dal 2013, considerato dallo stesso primo cittadino l’anno della rottura, quello in cui l’inceneritore simbolo della lotta grillina ha cominciato a bruciare rifiuti a Ugozzolo, quello in cui le politiche di Pizzarotti hanno cominciato a essere considerate dai vertici troppo autonome rispetto ai dettami del Movimento e la stessa figura del sindaco, sempre sotto i riflettori, troppo critica nei confronti delle scelte dei vertici. Da quel momento è stato un crescendo di frizioni. Prima gli attacchi via blog, le scomuniche su ogni iniziativa del sindaco di Parma come la “scuola per amministratori” pentastellati, e infine l’oscuramento di tutto ciò che avveniva in quella che una volta Grillo aveva definito la “Stalingrado del Movimento”. In altre parole, un isolamento forzato da cui Pizzarotti e i suoi non sono più usciti. “Mentre gli altri, persino il Pd in un suo emendamento, continuano a parlare di “effetto Parma”, il Movimento no – continua Pizzarotti – eppure abbiamo amministrato una città con 870 milioni di debito. Tutti ci consigliavano di dichiarare il default e invece noi abbiamo fatto scelte di equilibrio. Noi potremmo usare la nostra esperienza, parlare, confrontarci, ma Parma, che potrebbe essere presa d’esempio, non viene citata in nessun discorso”. Pizzarotti chiedeva un meetup nazionale, di fare rete con i sindaci ai membri del direttorio e a Luigi Di Maio, dall’altra parte c’era sempre un muro.

Dalla sospensione al nuovo regolamento – “Sono stati usati due pesi e due misure”, ha spesso ricordato il sindaco paragonando la sua situazione a quella del collega Filippo Nogarin o di Virginia Raggi. A Parma per esempio non sono stati presi provvedimenti in merito alla formazione di un gruppo Cinque stelle di minoranza, e direttorio e vertici M5s non hanno mai preso le parti del sindaco quando è incappato in inchieste giudiziarie. L’avviso di garanzia tenuto nascosto da Pizzarotti sull’indagine per le nomine del Teatro Regio ed emerso dalla stampa lo scorso maggio ha segnato il punto di non ritorno con la sua sospensione, diventata praticamente a tempo indeterminato. Il verdetto del garante Beppe Grillo, che aveva il compito di decidere sul destino del suo ex pupillo, non è mai arrivato a differenza di quello del tribunale, che ha archiviato il caso due settimane fa.

Il sindaco si aspettava un passo indietro, o almeno delle scuse e una risposta alle controdeduzioni che aveva mandato in seguito al provvedimento. E invece, anche questa volta, il silenzio da Roma, Milano e Genova. Con due ultime azioni insopportabili per attivisti e consiglieri di Parma che da sempre sostengono Pizzarotti: il mancato invito a partecipare a Italia 5 stelle e il nuovo regolamento sulle espulsioni, che allungando i tempi di sospensione, è percepito come un modo per sbarazzarsi del sindaco parmigiano da parte dei vertici, bloccando un suo eventuale tentativo di correre per un secondo mandato alle prossime comunali. “Una norma ad personam – ha attaccato il sindaco – perché sono l’unico sospeso d’italia ed è inutile dire a chi sia pensato per questo nuovo regolamento”. “Abbiamo aspettato – dice – ma Palermo e la codardia di non dare risposte e non fare una telefonata anche dopo l’archiviazione ha reso questa decisione improcrastinabile”.

La decisione di uscire – Atteggiamenti che hanno portato Pizzarotti a commenti sempre più aspri nei confronti del Movimento. “Dall’uno vale uno, siamo arrivati al passaggio dinastico tra padre e figlio – aveva scritto su Facebook annunciando la conferenza – dalla democrazia orizzontale, al capo politico; da regole condivise da tutti, a un pacchetto di regole calate dall’alto, ad personam contro i non allineati e senza rispettare nessuna procedura di discussione e approvazione”. Anche lunedì mattina il ricordo prima di comunicare la decisione è andato a sette anni fa, l’inizio di tutto. “Sono passati 7 anni dalla Carta di Firenze e dalla giornata entusiasmante al teatro Smeraldo, quando il Movimento 5 Stelle è nato. Io c’ero, ero lì a prendermi le mie responsabilità di cittadino. Da allora tante cose sono cambiate”. E il cambiamento più grande per il sindaco per anni simbolo del Movimento 5 stelle, è stata proprio la scelta di uscire, maturata con i suoi dopo molti indugi. “Pensavo fosse più facile cambiare le cose da dentro, come mi chiedevano in molti, invece che da fuori. Ma ho capito che non è possibile. Io non sono questo – conclude riferendosi a tutto quello che il Movimento è diventato – e non sono mai stato questo, ma credo ancora in quei valori in cui credevamo all’inizio. Io voglio rappresentare quello che saremmo potuti essere se avessimo avuto il coraggio di farlo”.

Il futuro aperto – Per ora il sindaco ha smentito l’ipotesi di un nuovo inizio politico a livello nazionale e non ha sciolto le riserve su una possibile ricandidatura alle prossime comunali del 2017 a Parma con una lista civica, che ora, perso il simbolo Cinque stelle, sarebbe una scelta forzata. “Ci stiamo ancora pensando, ma è una scelta personale. Ho sempre detto che il sindaco non lo devo fare per mestiere perché tornerò al mio lavoro e quindi non è una necessità è stringente, ma se ci saranno le condizioni, ne parleremo insieme al gruppo e decideremo”. Smentiti anche i rapporti con il Pd o con altri partiti, anche se persino Renzi aveva speso parole di elogio per il sindaco grillino “dissidente” e spesso i dem, soprattutto a livello nazionale, hanno visto di buon occhio l’operato dell’amministrazione di Parma. “Non c’è alcun interesse a livello nazionale e non ho mai lavorato per alcun partito a livello nazionale – ha ribadito però il primo cittadino – ora penso come sempre alla mia città”.

“Quello che è certo – dice Pizzarotti, concludendo – è che avrò sempre la mia autonomia all’esterno così come la mia autonomia all’interno. Decidendo di uscire faccio un piacere al garante, che così potrà ancora una volta non decidere. Questa non è una resa, ma dimostrare che la responsabilità ce la prendiamo e non arretriamo neanche di un passo”.

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