Stamattina non entrerò in classe da solo ma con Mohamed e il suo piccolo amico etiope. “Porterò” in aula la storia di questi due bambini che dopo aver attraversato il Mediterraneo sono stati salvati dalle onde ma non dal razzismo di quei genitori che saputo della loro iscrizione nella scuola paritaria frequentata dai “bei bambini” italiani hanno preteso certificati medici e si sono strappati le borghesi vesti all’urlo di “c’è il rischio di malattie”.
Lo farò nel giorno in cui si ricordano le 368 persone (di loro la maggior parte di noi non sa un solo nome e cognome) che il 3 ottobre del 2013 morirono naufraghi a poche decine di metri dalle coste di Lampedusa.
Scommetto che tre anni fa anche le mamme e i papà di Cagliari vedendo alla televisione le tragiche immagini di quelle bare, una accanto all’altra, nell’hangar dell’aeroporto militare, si saranno commossi, avranno avuto pietà e compassione per quelle bare bianche con accanto gli orsacchiotti che quei bambini non hanno mai potuto vedere.
E’ la commozione ignorante e borghese, quella di chi non sa e s’intenerisce a distanza. Se stanno a Lampedusa, se non li si vede, si può anche provare pietà. Anzi si possono persino accogliere.
Non nella mia scuola. Non nelle nostre aule. “Potrebbero avere delle malattie”, hanno detto i genitori di Cagliari. Ma la cosa più triste è che i ragazzini di quell’istituto ad un certo punto non hanno più voluto andare in bagno con i compagni “stranieri”. Influenzati dai discorsi di mamma e papà hanno avuto una reazione razzista, non innata, non appartenente ad un bambino solitamente.
Ma è questa la lezione che i “grandi” stanno dando. Nelle nostre classi si respira quest’aria. Non solo a Cagliari. Qualche giorno fa leggendo con i miei alunni il quotidiano un ragazzo mi ha detto: “Maestro chi se ne frega di questi immigrati. A casa mia non li voglio, sono sporchi e non rispettano le nostre regole”.
A lui ha risposto il compagno: “Ma lo sai che anche gli italiani sono emigrati e li credevano malati in America?”.
Un’espressione alla quale il maestro ha risposto con le immagini di uno straordinario cortometraggio: “Il Volo” di Wim Wenders e con la lettura de “Il viaggio”, il libro di Francesca Sanna nato dall’incontro con due ragazze in un centro per rifugiati: un racconto capace di narrare ai più piccoli il verbo “migrare”.
In questa giornata della memoria ogni insegnante dovrebbe entrare a scuola e chiedere ai suoi colleghi e ai ragazzi: sai quanti immigrati sono sbarcati in Italia nell’ultimo anno?
Ad un mio ex alunno che temeva l’ondata degli stranieri lessi un articolo con dati precisi: “In Europa lo scorso anno sono arrivati dal mare 170 mila migranti e questo ha avuto il potere di destabilizzare un’Unione Europea di 500 milioni di persone. Significa che gli arrivi sono pari a uno ogni 3000 abitanti. Negli ultimi tre anni in Turchia, nazione con 75 milioni di cittadini, i rifugiati arrivati dalla Siria e dall’Iraq sono stati oltre due milioni: uno ogni 35 abitanti”.
Chi educa oggi ha il dovere di non cadere nella trappola di chi come Daniela Santanché da me intervistata a “Radio Popolare” lo scorso anno alla domanda “Scusi ma da dove vengono i migranti sbarcati negli ultimi sei mesi?” rispose: “Non sono dell’Afghanistan, non sono siriani. Vengono dalla Libia, dalla Tunisia, dal Marocco che non sono in guerra”.
La lezione più bella in questi giorni la stanno dando gli oltre 200 ragazzi arrivati da tutt’Europa che da tre giorni si stanno confrontando concretamente con i “colleghi” dell’isola sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione. È il progetto “L’Europa inizia a Lampedusa”, promosso dal ministero dell’istruzione in collaborazione con il Comitato 3 Ottobre. Gli studenti partecipano a workshop, laboratori, seminari, ascoltano testimonianze e assistono a proiezioni video in un luogo simbolo dell’accoglienza, Lampedusa. Ieri hanno incontrato alcuni migranti sopravvissuti.
“Quando si cresce si hanno più pregiudizi. Forse è inevitabile. Il momento storico che stiamo vivendo è un pezzo di storia che sarà ricordato in futuro nei libri di storia. Oggi l’abbiamo vissuto direttamente”, ha detto una ragazza a Lampedusa incontrandosi con un gruppo di ragazzi arrivati dall’Africa.
Ecco perché stamattina entrerò in classe raccontando di quei bambini di Cagliari e guardando ancora una volta quella croce tratta dal legno dei barconi dei migranti che nella mia aula resta appesa 365 giorni non solo il 3 ottobre.