“La memoria del Paese è corta. Quella di risparmiatori, azionisti e lavoratori delle tante banche coinvolte un po’ meno. Rinfrescarla fa bene a tutti”. Così Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, chiude un duro editoriale sul piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena messo a punto con il contributo cruciale del Tesoro, che di Rocca Salimbeni è il primo azionista. Nel fondo, pubblicato lunedì in prima pagina sul quotidiano di via Solferino, de Bortoli auspica “un po’ più di trasparenza nei rapporti” della banca d’affari statunitense Jp Morgan “con il governo e nella ristrutturazione del capitale Mps, specie tenendo conto che la banca americana sarà impegnata anche nell’aumento di Unicredit“. Perché, spiega, il “senso di responsabilità nazionale non ci impedisce, anzi ci impone, di avanzare qualche scomoda questione“.
Un passo indietro: l’ex direttore del Corsera, che di recente ha ribadito di sentire “odore di massoneria” nelle vicende di Banca Etruria e della stessa Mps, ricorda che il 7 settembre il ministro Padoan ha “chiamato il presidente Massimo Tononi per dirgli di licenziare l’amministratore delegato Fabrizio Viola“ e contestualmente indicargli come sostituto Marco Morelli. Con gli organi societari che restano a guardare, “ridotti a soprammobilli“. Una “forzatura figlia di un accordo tra il governo e la banca americana”, accordo stretto dallo stesso Renzi durante un incontro a pranzo a Palazzo Chigi con “il numero uno Jamie Dimon su sollecitazione di Claudio Costamagna, presente l’ex ministro Vittorio Grilli, oggi in Jp Morgan”, nella veste di presidente delle attività di Corporate & investment banking per Europa, Medio Oriente e Africa.
L’intesa prevede che Jp Morgan conceda al Monte un finanziamento ponte da 6 miliardi finalizzato alla successiva cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (9 miliardi netti, 28 lordi). Ma “qui la vicenda si complica e si fa oscura“, scrive de Bortoli. Infatti “al momento non risulterebbe firmato alcun contratto tra Mps e Jp Morgan per il prestito e la cartolarizzazione”. C’è “solo un pre underwriting agreement, e solo per l’aumento di capitale: poco più di una stretta di mano”. Questo a fronte di un’operazione che “comporterebbe per Jp Morgan una commissione del 4,75 per cento” sull’aumento più un “margine di guadagno potenziale elevatissimo” sui non performing loans, i crediti deteriorati appunto, visto che “se qualcosa dovesse andare storto prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo effettivo di 18 centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati subito”. Mentre “Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane compresa la Cassa depositi e prestiti con i soldi del nostro risparmio postale, perderebbe tutto”.
Ciliegina sulla torta, “Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa. Qui si pone anche un duplice rischio. Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan. Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario (…) è anche il principale operatore nella gestione e nella riscossione. Tutto ciò sarebbe in contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps con Quaestio, ovvero Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e trasparenza» nella gestione di un mercato delle sofferenze che avrà dimensioni colossali”.
“Può darsi”, chiosa de Bortoli, “che la proposta di Jp Morgan, con Mediobanca in un ruolo minore, sia l’unica percorribile. Ma visto l’attivismo di Renzi e Padoan, se dovesse fallire coinvolgerebbe l’intero governo, complicando la soluzione B (capitale pubblico) che pure si sta studiando”. Infine, occorre chiarire se “nello sbrogliare la matassa di Siena non avrà alcun ruolo chi confezionò, in Jp Morgan, ai tempi di Mussari e Vigni, il famoso, o meglio famigerato, strumento finanziario Fresh per l’acquisto da parte di Mps di Antonveneta. (…) Operazione che ottenne l’avallo dello stesso Grilli, allora direttore generale del Tesoro con supervisione delle Fondazioni”.
A stretto giro Padoan ha replicato sostenendo che sul salvataggio di Mps “non c’è nessun ruolo intromissivo da parte del governo” e che il tesoro è il primo azionista di Mps, ma utilizza la sua posizione, in modo molto soft, di vigile attenzione a ciò che la banca sta facendo”. Il ministro, non entrando nel merito delle puntuali osservazioni di de Bortoli ha quindi invitato a non confondere “il concetto di tempo con quello di fretta. C’è bisogno di un tempo giusto per mettere a posto un sistema europeo che ha molte fragilità”, ha detto sostenendo che “c’è da parte del management della banca, in collaborazione operatori finanziari molto qualificati, la messa a punto di un piano che finirà con la ricapitalizzazione nell’ordine di 5 miliardi”. In quel frangente, sostiene ancora Padoan, “non ci saranno offerte alternative, ma un’offerta al mercato che sono convinto avrà successo”.