Chiamateli pure “super-presidi”. Ma con la “Buona scuola” saranno valutati ogni anno. E in caso di bocciatura potranno persino essere licenziati. La nuova autonomia scolastica promossa dalla riforma firmata da Stefania Giannini significa molte più responsabilità per chi guida gli istituti del nostro Paese: la possibilità di personalizzare l’offerta formativa, la facoltà di scegliere personalmente i propri docenti con la famosa (e contestata) “chiamata diretta”. Anche, però, la spada di Damocle di un severo giudizio da parte di una commissione ad hoc. Onori e oneri, insomma. Da oggi il mestiere del dirigente scolastico sarà senz’altro più stressante che in passato.
ECCO I VOTI PER I PRESIDI – Dopo mesi di lavoro, il Miur ha finalmente pubblicato le linee guida del sistema nazionale di valutazione dei dirigenti scolastici. Si tratta di uno dei capisaldi della riforma: i presidi avranno più poteri, ma per questo saranno sottoposti ad un esame costante del loro operato. Adesso si sa anche come e da chi: a settembre l’Ufficio regionale fisserà gli obiettivi, modulati su scala triennale in base al piano dell’offerta formativa redatto da ogni scuola; ad agosto arriverà il “voto” di un’apposita commissione, composta da un coordinatore e due ispettori, e almeno un preside con esperienza di valutazione di progetti nazionali. Peserà anche il parere della comunità scolastica (insegnanti e collaboratori saranno chiamati a esprimersi), ma solo per il 10%: il dirigente sarà valutato per la sua capacità gestionale (al 60%) e per la valorizzazione delle risorse professionali (il restante 30%). Il tutto nell’ottica dell’avvicinamento agli obiettivi stabiliti, e sulla base di diversi strumenti (da un rapporto di autovalutazione ai vari documenti ufficiali, come la relazione del consiglio di istituto, o i piani per l’inclusione o l’alternanza scuola-lavoro). Così alla fine di ogni anno i presidi riceveranno un giudizio, che potrà essere di quattro tipi: “pieno raggiungimento degli obiettivi”, “avanzato raggiungimento”, “buon raggiungimento” o “mancato raggiungimento”. In base a cui ci saranno precise conseguenze.
NIENTE SOLDI E RISCHIO LICENZIAMENTO – La prima, la più immediata, è di tipo economico: nell’impianto di valutazione pensato dal Ministero, al “voto” riportato corrisponde un bonus di retribuzione (qualcosa di simile a quanto previsto anche per i docenti). Parliamo di uno stipendio che si aggira mediamente intorno ai 2.500 euro netti al mese, e che per i più “bravi” potrebbe crescere fino a 2.700-2.800 euro. Con le dovute differenze in base alla fascia di giudizio. Chi invece non raggiunge gli obiettivi non prende nessun bonus. E questo è pacifico. Ma il Miur aggiunge una postilla che potrebbe avere conseguenze più radicali: il documento cita infatti il Testo Unico sul Pubblico impiego (dlgs 165/2001) che prevede “in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi”, “in relazione alla gravità dei casi” anche la “revoca dell’incarico”. Vero che il licenziamento per responsabilità dirigenziale esiste dal 2001, ma fino ad oggi per i presidi veniva applicato solo in casi di clamorose inadempienze: ora che esiste un sistema di valutazione che ogni anno può concludersi con una bocciatura, il rischio è che i presidi si ritrovino costantemente sotto la spada di Damocle di un possibile licenziamento. “Non siamo preoccupati solo perché vogliamo sperare che l’applicazione del decreto 165 sia considerata l’extrema ratio: non ci sarà nessun automatismo, sarebbe folle. Certo però il testo poteva essere scritto meglio in quella parte”, il commento dell’Associazione Nazionale Presidi.
ASSOCIAZIONE PRESIDI: “TROPPE CRITICITÀ” – Cosa accadrà ai presidi valutati negativamente, insomma, non è del tutto chiaro. Sicuramente niente bonus economico e un colloquio con la commissione. Poi si vedrà: il buon senso lascia immaginare che solo in caso di iterazione della bocciatura si arrivi a prendere provvedimenti pesanti. Ma non è solo lo spauracchio del licenziamento a lasciare perplessa l’Anp: “Ci sono diverse criticità da risolvere”. Ad esempio sulle modalità del nuovo sistema: “Il modello studiato dal Ministero è essenzialmente documentale, ma non si può giudicare un buon preside solo così. Ci vorrebbe più dialettica, altrimenti la valutazione rischia di trasformarsi in uno scambio di carte fra burocrati”. Dubbi anche sulla tempistica: “L’unità di tempo della nuova ‘Buona scuola’ è il triennio, ma la valutazione dei dirigenti sarà annuale: questa discrasia può creare dei problemi. E poi il confronto con la commissione dovrebbe essere preventivo, in modo da correggere in corsa eventuali errori, non dopo la ‘bocciatura’, a giochi ormai fatti”. “Comunque – conclude l’Associazione – avviare un nuovo percorso non è mai facile. Noi siamo da sempre favorevoli al principio della valutazione nella scuola, presidi compresi. Speriamo che il Ministero lo faccia nella maniera giusta”.