Il governo ha sempre rivendicato un ruolo da leader in green economy e rinnovabili, ma durante le trattative ha fatto resistenza, insieme alla Polonia, ritardando anche la ratifica dell'intesa all'Europarlamento. Galletti lo chiama "principio d'equità". Il risultato è che vuole compiti a casa meno pesanti
Il gatto e la volpe. Nel lavorio di trattative che ha preceduto la ratifica dell’accordo di Parigi sul clima al Parlamento europeo, due Paesi in particolare hanno remato contro. Uno è la Polonia, l’altro l’Italia. Resistenze che hanno fatto dilatare i tempi di ratifica comunitaria fino all’ultimo momento utile, oltre il quale per l’Unione Europea non sarebbe più stato possibile partecipare alle prossime trattative sul clima. Ma se da una parte Varsavia è da sempre nota per le sue posizioni a favore delle fonti fossili e le sue frenate sui temi ambientali, dall’altra sorprendente è stato l’atteggiamento del governo italiano.
L’esecutivo pubblicamente ha sempre rivendicato la portata storica dell’intesa di Parigi e, anzi, il ruolo di leader dell’Italia nella green economy e nelle rinnovabili. Lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel 2015, partecipando agli incontri della Cop21 a Parigi, aveva detto: “L’Italia ha la leadership in alcuni settori della green economy. Noi stiamo andando nella giusta direzione e stiamo facendo tutti quegli sforzi che ci portano a essere una delle nazioni guida in questo settore. Sono ottimista, ma è ancora lunga. Spero che l’accordo sia il più vincolante possibile, altrimenti si rischia un impegno scritto sulla sabbia”. Anzi, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti aveva rivendicato pochi giorni prima della ratifica che “noi rendiamo più facile l’accordo a livello europeo perché abbiamo contribuito già fortemente, anche negli anni scorsi, alla riduzione della Co2 in Europa”.
Eppure nel frattempo l’Italia cercava di frenare. Nelle stanze dei negoziati europei ha lavorato per ottenere impegni più blandi di riduzione delle emissioni. Come? Portando avanti ufficialmente una battaglia per “l’equità” nella spartizione degli impegni tra i Paesi, che nei fatti dovrebbe risolversi in compiti a casa meno pesanti per l’Italia. Se infatti le trattative prima della Conferenza sul clima del 2015 hanno riguardato l’impegno che l’Europa avrebbe dovuto assumersi (fissato a una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030 rispetto al 1990), adesso si negozia su cosa questo obiettivo vorrà dire per i diversi Stati membri. E qui viene il bello.
Un lavoro sotto traccia
La Polonia ha difeso apertamente il diritto del proprio Paese a uno sviluppo basato sul carbone, mentre persino Ungheria e Slovacchia, “alleati” dei polacchi nel gruppo di Visegrad (non proprio dei progressisti sui temi ambientali) hanno preso una posizione opposta. “Hanno già ratificato l’accordo a livello nazionale. Sanno bene che dopo potranno battersi per target più morbidi, ma intanto non conviene mettersi contro il trattato di Parigi” spiega il responsabile dell’ufficio di Bruxelles di Legambiente Mauro Albrizio. Quello dell’Italia “è stato un lavoro condotto dietro le quinte. Nessuno è così politicamente stupido da dire apertamente di non volere questo accordo”. Così la battaglia si è combattuta ai tavoli tecnici, dove i negoziatori italiani hanno creato non pochi problemi.
Un atteggiamento che per il responsabile Clima ed energia di Greenpeace Italia Luca Iacoboni non è neanche giustificato dalle caratteristiche del nostro Paese: “L’Italia, al contrario della Polonia, è un Paese povero di materie prime, che anche per questo dovrebbe puntare sulle rinnovabili più che sul carbone. Inoltre, anche l’Enel sta dismettendo 23 centrali a carbone”.
Galletti: “Principio di equità”
Pubblicamente il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti la chiama “principio di equità” nella spartizione dei target tra i diversi Paesi, ma in concreto è una battaglia al ribasso per ottenere dall’Ue obiettivi nazionali più morbidi. “Secondo l’ipotesi fatta dalla Commissione – dice Albizio – l’Italia dovrebbe ridurre le emissioni del 33% al 2030, rispetto al 2005. Un impegno per due terzi già assolto, visto che dal 2005 al 2014 grazie al forte sviluppo delle rinnovabili le emissioni sono calate del 22%. E ora l’Italia giudica troppo stringente dover tagliare di un altro 11% in ben 16 anni”.
Dal ministero dell’Ambiente negano e rilanciano spiegando che “l’Italia non vuole un indebolimento degli impegni, ma anzi è disposta a fare anche di più. L’importante è che ci sia equità nella spartizione degli sforzi tra i Paesi”. Posizione a sua volta smentita dal presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, Giovanni La Via che è del Nuovo Centrodestra, partito alleato in Area Popolare con l’Udc, che esprime il ministro Galletti. La Via ammette che il target presente nelle bozze è “uno sforzo che vede l’Italia un po’ penalizzata. Sarà una proposta che potremmo modificare, ci sarà il tempo per farlo. Bisogna considerare gli sforzi già fatti: un Paese che ha già ottenuto risultati in passato non può essere messo sullo stesso piano di chi non ha fatto sforzi pregressi”.
A pesare però è anche la mancata ratifica nel nostro Paese dell’accordo di Parigi, che dopo il via libera del consiglio dei ministri, dovrà passare alle Camere. “L’Italia si deve sbrigare a ratificare – taglia corto la responsabile Clima del Wwf Mariagrazia Midulla – Così spazzerà via il sospetto che per contrattare i target si creino strane alleanze e strani ricatti.
Ratifica all’ultimo momento
Le resistenze di alcuni Paesi ad assumersi degli impegni significativi ha fatto allungare i tempi della ratifica dell’accordo a livello europeo, che infatti è arrivata all’ultimo momento, alla presenza del segretario dell’Onu Ban Ki-Moon che non doveva nemmeno essere a Strasburgo, ma ha fatto una deviazione su invito del presidente del Parlamento Martin Schulz. Altrimenti non si poteva fare: per sedersi al tavolo delle trattative della Cop 22 che si terrà a novembre a Marrakech, la procedura di ratifica doveva essere chiusa entro il 7 ottobre. Quelli di novembre saranno negoziati importanti: perché se l’anno scorso alla Cop 21 si è discusso degli impegni di riduzione, quest’anno si dovrà decidere come mantenere le promesse fatte. La Via assicura che “in un mesetto la procedura di ratifica italiana sarà completata”. L’obiettivo sarebbe quello di avere il pezzo di carta pronto per il 7 novembre: così Galletti potrà evitare di presentarsi a Marrakech a mani vuote.