Televisione

Grande Fratello Vip, non servono i troni gay se poi va in onda l’omofobia

Vorrei proporre alcune brevi considerazioni sul caso Clemente Russo e sulla sua espulsione al Grande Fratello Vip, affinché siano spunto di future riflessioni per evitare che certa deriva (sub)culturale sia ingrediente delle nostre tv.

1. Le dichiarazioni del pugile erano già insostenibili e gravi quando ha dato del friarello (epiteto offensivo per indicare la sua omosessualità) al concorrente Bosco Cobos. Dileggiare qualcuno per il suo orientamento sessuale è omofobia. Gli autori della trasmissione non hanno sanzionato quell’episodio ed è passato il fatto che sia normale insultare qualcuno per il fatto di essere gay. Il Grande Fratello perciò è responsabile tanto quanto Russo nell’aver veicolato questo tipo di messaggio.

2. Omofobia e sessismo sono le due facce della stessa moneta. Non è casuale, infatti, che dopo l’affermazione omofoba – passata in cavalleria, come abbiamo visto – sia arrivato l’attacco contro Simona Ventura definita in modo ignobile per una presunta relazione extraconiugale. Per Russo, il fatto che una donna abbia una certa condotta è assimilabile alle categorie della prostituzione. Lo stesso non vede in modo altrettanto critico Stefano Bettarini che ha confessato di esser stato fedifrago tanto quanto l’ex moglie.

3. “Sono cose da uomini”, “chiacchiere da spogliatoio”. Queste le giustificazioni di Russo e Bettarini, quando sono stati redarguiti su quanto fatto, pensando di non essere ascoltati in una casa disseminata di telecamere e microfoni. Come se l’“essere maschio” faccia il paio con l’essere rozzo e volgare. Questa vicenda, a ben vedere, non offende solo le donne – e una in particolare – o le persone omosessuali, ma anche gli uomini che non si riconoscono nel paradigma di maschio tracotante e violento.

4. Inqualificabile, ancora, la frase con cui – secondo quanto riporta il Corriere.it – Russo ha detto a Bettarini che se avesse trovato la moglie a letto con un altro, avrebbe dovuto provvedere con soluzioni violente. Anche qui, è stata opposta come giustificazione il fatto che si tratta di “linguaggio comune”. Un linguaggio comune basato su brutalità e mancanza di rispetto, giustifica e produce a sua volta abusi di varia natura. Considerando che Russo è un personaggio pubblico e campione sportivo, la gravità è maggiore perché potrebbe essere visto come esempio. Negativo, in tal caso.

5. L’aspetto forse più inquietante nelle affermazioni del pugile, oltre il loro contenuto, sta nell’incapacità di riconoscerne la carica violenta e discriminatoria. A ben vedere è poi lo stesso problema di certi fruitori medi di reality e programmi nazional-popolari in genere. Lo possiamo leggere dai commenti sui social, in quell’atteggiamento diffuso di insofferenza verso chi denuncia questo stato di cose, nel fare spallucce di fronte a tutto ciò. Tali comportamenti sembrano indicativi dell’incapacità di leggere il dato oggettivo. Pare, questa umanità, appartenere a un popolo di “analfawebeti” per citare Mentana e stabilendo confini più netti del fenomeno.

6. Mediaset dovrebbe decidere che tipo di condotta osservare. Non è credibile proporre trasmissioni in cui si celebrano unioni civili e si imbastiscono “troni gay” quando poi, in un programma tra i più popolari, si permette di far passare certi messaggi contro specifiche categorie sociali. Il sospetto di pink washing è dietro l’angolo e nasconde sempre una buona dose di disonestà intellettuale e di ipocrisia. L’azienda vuole dare quest’immagine di sé?

7. Non si può, infine, non notare che se Russo fosse stato espulso già ai tempi degli insulti omofobi, forse oggi non si sarebbe arrivati a questo punto. Un punto degradante, sia per chi lavora in Mediaset sia per chi si trova esposto a certi fatti. Sarebbe auspicabile che il mondo dello spettacolo decidesse di rinunciare a questo tipo di televisione, sempre più distante dal concetto di civiltà.