Tra visione in sala di domenica e successiva prima serata il lunedì su RaiTre ci siamo visti, praticamente abbinandoli, Indivisibili e Fuocoammare. La cronaca della designazione all’Oscar ne ha per un paio di giorni intrecciato le vicende sui giornali perché nella giuria pare si sia discusso se il secondo fosse effettivamente un film o non piuttosto un documentario, tant’è che pare concorra anche nell’apposita sezione dell’Oscar dedicata a questo genere di prodotto.
Senza provare a misurarci con le valutazioni degli addetti ai lavori, a noi, da semplici spettatori, Indivisibili è parso un film con contenuti di documentario mentre Fuocoammare lo diremmo un documentario montato come film. In altri termini, l’aspetto documentaristico, inteso come capacità di fare percepire una realtà, è molto forte in entrambi. Ambedue ci pongono infatti sotto gli occhi il maturare di un nuovo rapporto fra l’Italia e l’Africa nera subsahariana, da Lampedusa, il punto di approdo delle moltitudini, fino alle tante situazioni in cui gli arrivati variamente si rapportano agli indigeni (e viceversa). Con le conseguenti spinte verso una Italia diversa, sotto molteplici aspetti, anche culturali.
Da questo punto di vista la sequenza narrativa vorrebbe che si vedesse dapprima Fuocoammare, concentrato a Lampedusa, e successivamente Indivisibili, che ci porta sulla costa domizia. A Lampedusa le generazioni (e questo è un filo di racconto) si susseguono fra gesti arcaici e tratti di modernità, ma senza percepire più di tanto la quotidiana vicenda dei naufraghi salvati dai nostri guardacoste, accuditi e rimessi in condizione di vivere (un dovere, ma anche, non ci vuole molto a capirlo, una fenomenale opportunità per l’Italia). Un’umanità che punta in varie direzioni in Europa e in Italia.
E qui interviene Indivisibili che agisce nell’universo abusivo della via domiziana, dove sono venerate come mostri divini le neomelodiche diciottenni siamesi, divisibili nel corpo ma non nell’anima. E dove scopriamo il melting pot, quello sì dai tratti “mostruosi”, del sincretismo da favela generato nell’incontro fra le santerie autoctone del litorale e quelle, scampate ai naufragi, provenienti dal centro Africa con tutti i loro retaggi spirituali. Un po’ come avvenne con l’arrivo degli africani schiavizzati nel continente americano. Nell’insieme, i due titoli offrono il destro di pensare all’immigrazione fuori dalla pressione dei titoli strillati dai tg di giornata.
E il pubblico, come reagisce? Per Indivisibili è presto per dirlo perché si tratta di un film che dipenderà molto dal passaparola dei suoi stessi spettatori. Per cominciare, nel weekend ne ha messi insieme 25mila. Fuocoammare, forte della designazione all’Oscar, è stato subito trasmesso dalla Rai in prima serata su Rai Tre ed è riuscito subito (altre logiche e misure rispetto al meccanismo della sala cinematografica) a mettere insieme 2,3 milioni di spettatori con uno share del 9%. Sta di fatto che, come già accadde nel dopoguerra, il cinema si fa interessante quando fornisce immagini e parole a quello che già pensiamo, anche se non sappiamo ancora dircelo.