Svolta per l’Italia Digitale. Riccardo Luna ha dato le dimissioni in pubblico sull’Huffington Post e un articolo del direttore Mario Calabresi su Repubblica ha annunciato il decreto di nomina di Diego Piacentini a Commissario del digitale italico. Solo una coincidenza che le celebrazioni avvengano entrambe su mezzi del Gruppo Espresso, impegnato con determinazione nel ruolo di cane da guardia del potere (senza però lo smalto dell’era berlusconiana).
La lettera di Luna è un capolavoro. Ci informa di essere stato lui, fino al giorno prima, il responsabile del Digitale Italiano e annuncia il passaggio di consegne al neocommissario. Peccato che nessuno se ne fosse accorto, non di certo le persone che progettano e che producono che non lo hanno mai visto, impegnato com’erano in ripetute celebrazioni in ogni angolo della penisola. Lo fa al meglio del suo stile, con un testo denso di emotività e di acquisizione di meriti non propri. Ma poco importa. La verità è sempre più quello che si comunica, la “narrazione” prima e davanti ai fatti. Tanto la memoria è corta. Chi ricorda la celebrazione del 21 novembre 2015, evento di lancio della grande rivoluzione digitale pubblica? Era presentato come “il momento del New Deal, un patto con il paese per cose concrete da fare nei successivi 24 mesi“. “Fuffa e soltanto fuffa, passerella di vuota retorica” echeggiò sulla stampa di settore. Un’autocelebrazione”. Che fine ha poi fatto il progetto di “Cittadinanza digitale” annunciato in pompa magna come prioritario dell’attività di governo? Ricorderà Matteo Renzi che ci si sarebbe rivisti per fare un bilancio nel 2017, a due anni di distanza? Magari avrà del tempo libero per poterci andare.
L’evento un effetto lo ebbe, se poco più di una settimana dopo proprio Riccardo Luna anticipava la necessità di un ripensamento per i campioncini digitali e infatti meno di sessanta giorni dopo hanno chiuso i battenti. Nei corridoi di palazzo non si è mai capito il motivo, anche se sarebbe interessante capire chi pagò per i due eventi: per la celebrazione governativa e per la convention dei campioni digitali del giorno prima.
In ogni caso morto un commissario digitale se ne fa un altro. Da un giornalista si passa ad una figura di altissimo livello, grande manager nella vendita di computer in un passato più remoto e nella vendita di libri in un passato più recente (anzi, un presente, dato che è ancora dipendente di Amazon, in aspettativa). Non un informatico, un ingegnere, né un esperto di Pubblica amministrazione. Un manager che viene dalle vendite. L’intervista a Piacentini del direttore Calabresi su Repubblica va per questo letta. Dice il Commissario che non c’è conflitto di interessi, che ha solo lo 0,000017 per cento delle azioni, ovvero 84000. Come potrebbe essere incline a fare l’interesse dell’azienda, avendo solo lo 0,000017%? A valori correnti però è un pacchetto da 70milioni di dollari. E molti altri lo attendono, quando tornerà in azienda. Potrà prendere a cuor leggero decisioni in contrasto con gli interessi di Amazon? Quando in Europa si dibatterà della localizzazione dei dati della pubblica Amministrazione, sosterrà – come si fa in Germania – il cloud computing di Stato ? O quello di soggetti privati, in cui Amazon è leader indiscusso?
Un primo assaggio lo abbiamo già dal post di annuncio della nomina in cui si dice che si adotteranno “architetture elastiche”. La coincidenza vuole che sia un concetto tecnico diffuso da Amazon ed offerto ai propri clienti con il nome “Amazon Elastic Compute Cloud”. Fare una ricerca con Google per vedere. Ma non c’è conflitto di interessi. Nell’intervista dice il Commissario che Amazon in Italia fa “una quota davvero molto piccola del fatturato mondiale“. La cosa che rileva, però, non è se faccia una piccola quota del fatturato mondiale, ma che quota abbia Amazon in Italia dei servizi che possono essere usati dalla pubblica amministrazione e forniti da tecnologie concorrenti. Potrebbe anche essere una quota piccola del fatturato di Amazon, ma se fosse il 90% di quello che la PA acquista? E’ questione di soldi. Quanto fattura Amazon in Italia? E’ un segreto custodito meglio di quelli di Fatima. Trasparenza vorrebbe che il Commissario dicesse dettagliatamente quanto fattura Amazon in Italia anno per anno, dall’anno prima dell’inizio del suo mandato a quelli dopo, con il dettaglio di tutto il mercato e della Pubblica Amministrazione. Perché sarebbe interessante sapere se paga tutte le tasse dovute o se le elude, come parrebbe secondo un’indagine europea in corso, che ipotizza per Amazon comportamenti elusivi come quelli che hanno portato alla sanzione di 13 miliardi relativi ad Apple. Vorrai mai avere a Palazzo un Commissario toccato, nel suo ruolo di Capo delle vendite internazionali, da una mega elusione fiscale? Nel solo 2014 Amazon in Europa ha venduto per 13,6 miliardi di euro dichiarando utili per soli 23 milioni. Forse sarebbe proprio il caso di fare un po’ di trasparenza.
“E’ il concetto di Give Back”, spiega il Commissario nell’intervista. Rischia di essere un “give back” infinitesimo dopo un “take from” enorme, se ha ragione la Commissione Ue. Questa, però, è una osservazione che sfugge a Repubblica. In merito a conflitti di interesse continua indisturbato il Commissario: “Il mio ruolo non ha a che vedere con legislazioni e politiche”. Però il Decreto legislativo da cui deriva la nomina del Commissario dice una cosa totalmente diversa: “Il Commissario rappresenta il Presidente del Consiglio nelle sedi istituzionali internazionali nelle quali si discute di innovazione tecnologica, agenda digitale europea e governance di Internet e partecipa, in ambito internazionale, agli incontri preparatori dei vertici istituzionali al fine di supportare il Presidente del Consiglio dei ministri nelle azioni strategiche in materia di innovazione tecnologica”. Scusate se è poco.
A ben vedere, non è un potenziale conflitto di interessi, ma un allineamento. Degli interessi dello Stato a quelli della multinazionale. Ve lo immaginate (ad esempio) un numero 2 di Microsoft a rappresentare la Spagna ed un numero 2 di Google a rappresentare la Francia? Vi immaginate i vertici che farebbero con il Commissario Piacentini, numero 2 di Amazon? Cosa concorderebbero in materia di tassazione delle società digitali o di proprietà intellettuale o di trattati sul lavoro (Amazon è stata spesso sulla graticola dei media che denunciano le condizioni di lavoro)? O sulle scelte in materia di privacy? Quali sono i fondi di investimento in cui ha investito il commissario e chi sono i coinvestitori? Frequenta, ha frequentato o frequenterà consigli di amministrazione? Con chi? Avremo le posizioni strategiche del Paese definite e sostenute dal numero 2 di Amazon, residente in Usa, legato da relazioni economiche con i vertici dell’informatica statunitense e ma per Calabresi non c’è l’ombra di un conflitto di interessi? Si fa fatica a non concordare con Eugeny Morozov quando dice che le multinazionali stanno occupando la politica degli Stati. Nel nostro caso, commissariandola. Non può succedere in un paese normale.
Nel suo post di inizio attività, il Commissario apre al pubblico un nonConcorso per l’assunzione di un “Digital Team” a Palazzo Chigi, dei “Missionari digitali” di selenica memoria, con stipendi tra i 70mila e i 120mila euro. Ma attenzione! Avverte il commissario che per 6 delle 19 posizioni elencate, le “posizioni sono formalmente aperte ma abbiamo già candidati che ci piacciono e con i quali stiamo perfezionando l’accordo di collaborazione”. Probabilmente non si rende conto della abnormità di una simile dichiarazione in un organismo pubblico. Prima ancora di essere nominato, prima ancora di annunciare la selezione che è quindi solo “formalmente” aperta, sta già perfezionando i contratti. Scelte tecnologiche allineate con l’offerta aziendale, selezione di personale fatta in modo a dir poco atipico, quando non era ancora nominato, queste sono solo le cose più macroscopiche della prima uscita del Commissario Mr. Amazon. L’efficienza va bene, ma dimenticare che la cosa pubblica non è un’azienda è sbagliato. E in un mondo dalla memoria cortissima Luther.gov ha il dovere di ricordarlo.