Il gruppo Cap, che gestisce il servizio idrico integrato, sta trasformando 60 impianti di trattamento delle acque reflue in bioraffinerie. Le oltre 340 tonnellate di metano ottenute basterebbero ad alimentare 400 veicoli che percorrono 20 mila km l'anno ciascuno. Ma manca ancora il quadro normativo
Cosa non ci si inventa quanto mancano o scarseggiano le risorse, ma meno male: al di là della facile ironia, uno dei temi più sentiti da qualche tempo in qua è, in realtà, proprio quello della ricerca di alternative energetiche alle fonti fossili tradizionali. E inventarsi il biometano addirittura dall’acqua di scarico è un traguardo da non sottovaluare: lo ha ottenuto il Gruppo Cap, a capo della gestione del servizio idrico – acquedotto, fognature, depuratori – della città metropolitana di Milano e di diversi altri comuni di provincie limitrofe (Monza e Brianza, Pavia, Varese, Como), riuscendo ad ottenere il gas dalla lavorazione delle acque reflue.
In pratica, alla Cap si stanno trasformando i circa sessanta impianti di trattamento delle acque di scarto in bioraffinerie, in grado per l’appunto di sviluppare una vera e propria produzione di biometano. La stima di volume è importante, quanto meno a livello locale, poiché le oltre 340 tonnellate di gas sarebbero sufficienti ad alimentare ad esempio oltre 400 veicoli per 20mila km di percorrenza annuale ciascuno. Il tutto con costi di produzione inferiori di circa un terzo rispetto al prezzo attuale di questo gas (si parla di circa 0,58 euro/kg contro 0,9 euro/kg commerciale).
L’impatto ambientale, al contrario di ogni altra attività estrattiva, è praticamente prossimo allo zero, “corroborato” com’è dalla sostenibilità intrinseca del gas naturale. L’impiego del gas autoprodotto viene attualmente sperimentato dalla Cap grazie alla collaborazione col gruppo FCA. Intervistata dal portale Lifegate, Valeria Albizzati – sustainable mobility manager presso FCA – aggiunge che l’impatto ambientale di una vettura alimentata in questo modo è persino inferiore a quello di un’auto elettrica, la cui ricarica viene molto spesso prodotta sfruttando fonti energetiche non rinnovabili”.
In realtà, al progetto manca ancora il famoso “ultimo miglio”, vale a dire la necessaria normativa che permetta a questa risorsa di poter essere messa a disposizione del consumatore finale. Ma si spera che possa essere colmata in fretta, anche perché in Italia ci sono già 1.100 distributori di metano ed il loro numero è destinato ad aumentare in gran parte sull’impulso della produzione di biocarburanti, incluse le altre fonti di materia prima come prodotti agricoli, scarti agroindustriali e rifiuti organici. Insomma: non si butta via nulla, perché torna quasi tutto utile. Ed era ora che ce ne accorgessimo, verrebbe da aggiungere: l’ecosistema mondo non può certo permettersi sprechi.