Tutti a scuola. Da quest’anno ogni docente tornerà sui banchi per formarsi. Non ci sarà un monte-ore obbligatorio ma tutti i maestri e i professori di ogni ordine e grado (750mila persone) dovranno partecipare alla formazione che sarà organizzata dalle singole scuole in rete all’interno degli ambiti territoriali. Il piano di formazione nazionale è stato presentato il 3 ottobre dal ministro dell’istruzione Stefania Giannini. In viale Trastevere puntano tutto su nove priorità: il digitale, le lingue, l’alternanza scuola lavoro, l’inclusione, la prevenzione del disagio giovanile e l’autonomia didattica. Gli insegnanti dal 2016 al 2019 saranno chiamati a migliorare le loro competenze su questi aspetti. Ognuno avrà un portfolio personale che consentirà di valutare la qualità della formazione effettuata: una sorta di curriculum professionale che racconterà la storia formativa dei docenti. Ciò servirà anche ai dirigenti che si troveranno a scegliere nella chiamata diretta per competenze. L’idea di fissare alcune priorità nasce dall’esame dei dati dei 25mila neoassunti nell’anno scolastico 2014/2015: le competenze che i docenti neoassunti ritengono di dover potenziare nel futuro sono legate al lavoro di gruppo (78%); alla tecnologie nella didattica (62%); al coinvolgimento degli studenti (57%) e al sistema di valutazione (54%).

Un impegno che è stato riconosciuto da molti ma che trova anche qualche osservazione da chi come Marco Rossi Doria, ex sottosegretario e maestro di strada a Napoli, ne sa sull’argomento: “Perché non si fa una proposta banale? Basterebbe utilizzare le due ore della programmazione per fare formazione; in quel tempo gli insegnanti senior potrebbero facilitare il lavoro di gruppo aiutando a riflettere sui risultati d’apprendimento e su quelli relazionali. Non c’è formazione migliore che riflettere sul proprio lavoro. Non è detto che puntare sul digitale significa innovazione: la tecnologia è già pervasiva. La vera competenza è come accompagnare chi è digitale a non avere una visione manichea dell’esplorazione del mondo”. Critica anche Franca Pinto Minerva, storica pedagogista: “Temo che nella formazione dei docenti si trascuri la dimensione riflessiva che va oltre le tecniche e i contenuti. L’insegnante ha bisogno di essere motivato, stimato. Ancora una volta c’è il rischio di fare una formazione senza anima, la Legge107 non ha un processo di umanizzazione. Vanno bene le priorità fissate ma ci dev’essere qualche momento per parlare della consapevolezza pedagogica”.

Si tratta di una sfida importante visto che la percentuale dei professori italiani che partecipano alle iniziative di formazione in servizio è inferiore a quella dei Paese europei. L’indagine Talis 2013 evidenzia, infatti, che solo il 75 per cento dei professori della secondaria di primo grado ha svolto attività di formazione in servizio contro una media dell’88% tra gli Stati che hanno partecipato all’indagine così come risulta assai limitata, pari al 57%, la quota di docenti che ha ricevuto un feedback sulla propria azione didattica rispetto all’88% della media dei Paesi partecipanti. Anche nel caso degli insegnanti delle superiori solo il 76% dei docenti ha svolto attività di sviluppo professionale contro il 90% dei dieci Paesi Ocse in cui è stata condotta l’indagine. Ora il ministero punta a colmare questo vuoto con un piano che mette sul piatto 325 milioni di euro oltre gli 1,1 miliardi della famosa carta del docente. Il tutto è dettagliato nel calendario programmato dal Miur che punta molto sulle lingue straniere: entro il 2019, 10mila docenti della scuola dell’infanzia parteciperanno a percorsi di formazione linguistica per il raggiungimento del livello B1 così anche alla primaria e alle superiori.

 

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