Comincio con il dire che se il nostro codice penale prevedesse il reato di tortura, con adeguati tempi di prescrizione, per punire chi ha brutalmente picchiato Stefano Cucchi non dovremmo questionare e cavillare sulla sussistenza o la non sussistenza di quel nesso causale che dal pestaggio ha portato alla morte. Stefano è stato massacrato di botte. Non basterebbe questo per chiedere giustizia?

In Italia no. Detto questo, credo che ogni cittadino italiano si sia stufato di venire preso in giro con spiegazioni cavillose e improbabili su quel corpo martoriato che tutti abbiamo visto nelle fotografie rese pubbliche dalla famiglia. Ci è stato detto che Stefano è morto perché era un organismo troppo magro e debole. E non è un aggravante accanirsi contro una persona debole, come lo è accanirsi contro un bambino?

Oggi ci dicono che è morto di epilessia, per i farmaci che Stefano prendeva ma che ‘non è verosimile’ (testuali parole della nuova perizia) che prendesse. L’epilessia è l’ipotesi più accreditata e tuttavia (cito ancora le parole della perizia, riportate da Ilaria Cucchi nel suo post su Facebook di poche ore fa) è ‘priva di riscontri oggettivi’.

Abbiamo assistito a molte fasi di un lunghissimo processo che vedeva imputati medici, infermieri e agenti di polizia penitenziaria (questi ultimi due tutti definitivamente assolti). Poi le rivelazioni di un carabiniere hanno aperto un nuovo fronte. ‘Quei due con Cucchi hanno esagerato, è successo un casino, hanno massacrato di botte un ragazzo’, sarebbero state le parole del maresciallo dell’Arma Roberto Mandolini che hanno portato all’apertura di un nuovo processo, che vede questa volta imputati alcuni carabinieri. È all’interno di questo processo che viene disposta la nuova perizia i cui risultati sono stati resi noti oggi, affidata al dottor Francesco Introna, del Policlinico di Bari, coadiuvato da altri tre medici.

Ma Introna non suggerisce la sola ipotesi dell’epilessia quale causa della morte di Stefano. Introna riconosce che la famosa vertebra L3 di quel corpo martoriato era rotta. E ammette, come la famiglia Cucchi ha sempre sostenuto, che tali fratture hanno dato luogo a ‘un’intensa stimolazione vagale’ che avrebbe fatto sì che la vescica di Stefano giocasse il suo ruolo nel condurlo al decesso.

Ecco il nesso tra le botte e la morte. Non ci importa di sapere se è solo una concausa, se altri fattori – era magro, era debole, non voleva mangiare – hanno portato alla sua fine. Stefano era in custodia dello Stato, lo hanno picchiato, è morto. I cittadini italiani vogliono un processo per omicidio preterintenzionale. È disgustoso che un sindacato di polizia possa parlare di “vergognosa montatura mediatico-giudiziaria” e gioire di una perizia che vuole sperare di far credere che quel corpo devastato era morto di epilessia. Ci vorrebbe il buon gusto del silenzio, del rispetto per il dolore di una famiglia devastata.

Il prossimo 22 ottobre saranno passati sette anni dalla morte di Stefano Cucchi. In sette anni si può risolvere un caso di spionaggio internazionale. La morte di un ragazzo in un luogo chiuso per definizione, dove le indagini sono limitate dalla stessa struttura edilizia, si poteva risolvere in sette mesi. ‘Avremo un processo per omicidio’, scrive Ilaria sulla sua bacheca Facebook dopo aver constatato la poca forza della perizia nelle parti in cui vorrebbe uno Stefano attaccato dall’epilessia. Insieme a lei, ce lo auguriamo tutti.

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