C’è una svolta nell’inchiesta sull’omicidio di Alfio Vittorio Molteni, l’architetto di 58 anni ucciso a Carugo, nel Comasco, il 14 ottobre 2015. I carabinieri del Nucleo investigativo di Como e i colleghi del Reparto crimini violenti del Ros – coordinati dal sostituto procuratore Pasquale Addesso – hanno individuato e arrestato i presunti mandanti. Si tratta della moglie Daniela Rho, 46 anni, dal quale Molteni si stava separando e del suo commercialista Alberto Brivio, 49 anni, di Inverigo, con il quale la donna aveva una relazione. Entrambi sono accusati di concorso in omicidio, così come degli atti intimidatori che hanno preceduto l’agguato mortale. Nei mesi scorsi erano finiti in carcere altri dieci indagati. Complessivamente salgono quindi a dodici le persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta, tra cui i due presunti esecutori materiali.
Ma perché Molteni viene prima intimidito e poi ucciso? Secondo gli inquirenti il movente va ricondotto alla tormentata separazione con la moglie, in particolare in relazione ai contrasti sull’affidamento delle figlie che la donna voleva ottenere in via esclusiva. La Rho avrebbe anche usato gli atti intimidatori precedenti l’omicidio per descrivere Molteni come persona con frequentazioni equivoche e pericolose così che all’uomo fosse impedito dal Tribunale di Como di vedere le figlie minorenni per tutelare la loro incolumità.
Il 17 giugno del 2015 i giudice aveva stabilito che trascorressero il fine settimana nell’abitazione del padre e la notte stessa fu appiccato l’incendio della finestra dell’abitazione dell’architetto da due degli arrestati nei mesi scorsi che agivano su richiesta di Brivio e della Rho. A luglio – hanno ricostruito i carabinieri – furono sparati colpi di arma da fuoco verso la finestra della casa di Molteni. La moglie aveva presentato tramite i suoi legali un’istanza per chiedere l’interruzione dei rapporti e dei pernottamenti delle bambine dal padre, motivata con l’esistenza di un grave pericolo per l’incolumità per le piccole causato proprio dagli atti intimidatori subiti dall’architetto.
Ad agosto il Tribunale aveva rigettato la richiesta di incontri protetti avanzata da Daniela Rho e aveva ripristinato gli incontri delle bambine con il padre nella casa di famiglia senza la presenza della madre e di altri operatori. Due giorni prima dell’omicidio, la donna aveva presentato un nuovo ricorso d’urgenza per ottenere la sospensione di quest’ultimo provvedimento ma il ricorso era stato rigettato il 13 ottobre dell’anno scorso. Il giorno dopo Vincenzo Scovazzo e Michele Crisopulli, arrestati nei mesi scorsi, uccisero l’architetto per un compenso di 10mila euro. Anche se avrebbero dovuto solo “gambizzarlo“, sono convinti gli inquirenti.
“E’ stata un’indagine piramidale particolarmente complessa. E’ partita dalla base, dal furto dell’auto usata dagli esecutori materiali per recarsi sul posto dell’omicidio e nel giro di un anno ha portato all’individuazione degli esecutori degli atti intimidatori, poi dell’intermediario tra esecutori e mandanti, quindi degli esecutori materiali del delitto e, infine, dei mandanti dell’omicidio dell’architetto”, ha spiegato in conferenza stampa il procuratore di Como Nicola Piacente. “Una volta identificati gli autori degli atti intimidatori che hanno preceduto il delitto – ha aggiunto il magistrato – si faticava a trovare un movente, fino a quando non abbiamo acquisito gli atti del procedimento civile di separazione tra Daniela Rho ed Alfio Molteni. A quel punto è bastato comparare le date per svelare la continuità delle intimidazioni, messe in atto per mettere in cattiva luce l’architetto agli occhi del giudice civile e ottenere dei provvedimenti favorevoli sull’affidamento delle figlie minorenni”. Il movente, secondo gli inquirenti, è interamente qui: non vi sono questioni economiche: “Anzi – ha detto il pm Addesso – dalla separazione quello che è stato danneggiato economicamente è stato Molteni, che fino ad allora lavorava esclusivamente per l’azienda di famiglia”, un mobilificio brianzolo di proprietà del padre della Rho che produce arredamenti di lusso, nel quale lavorava come commercialista anche Brivio.
Il giorno del delitto Daniela Rho aveva fatto avere via telefono all’amante Alberto Brivio il numero di targa dell’auto del figlio di Molteni che l’architetto avrebbe usato quella sera per tornare a casa. Una notevole parte delle accuse emerge dalle intercettazioni telefoniche degli indagati che, ha spiegato il pm Addesso, “avevano una sorta di circolarità: la Rho telefonava a Brivio, il quale prendeva contatto con Luigi Rugolo, la guardia giurata che ha fatto da collegamento tra mandanti ed esecutori, e poi riferiva delle conversazioni alla stessa Rho. Un traffico notevole, che ha avuto delle punte di sessanta contatti al giorno sino al 14 ottobre, giorno del delitto, per poi crollare il giorno dopo, quasi ad azzerarsi”. Il 17 gennaio scorso i carabinieri hanno intercettato una telefonata tra la Rho e sua madre. “Sono vedova… sono a posto, se io vado a fare il corso di fidanzati, mi sposo in chiesa“.