“Non siamo cattive persone. Siamo angeli della morte incaricati di riportare le anime impure in cielo”. Protetto dall’anonimato, un alto funzionario della polizia filippina (PNP) confida al Guardian il ruolo svolto dalle forze dell’ordine nella lotta al crimine, responsabile di oltre 3.600 morti dallo scorso 1 luglio, ovvero da quando Rodrigo Duterte ha assunto ufficialmente l’incarico di presidente. Nel retro di un postribolo di Manila, l’uomo, che appartiene a uno dei dieci team speciali (ognuno composto da sedici membri) istituiti recentemente per colpire tossici, trafficanti e criminali, descrive nei minimi dettagli il modus operandi della polizia e il sistema con cui i cadaveri vengono fatti sparire. “Neutralizzare” i “parassiti” è il termine preferito dagli addetti ai lavori per descrivere la lunga scia di uccisioni.
Non si tratta di uccidere per piacere. Un obiettivo più elevato, non distante dal patriottismo, spinge i funzionari ad eseguire gli ordini. Ordini che vengono da molto in alto, spiega l’uomo responsabile in prima persona di 87 esecuzioni. Mentre insinuazioni sul ruolo svolto da Duterte si sono rincorse per mesi, è la prima volta che a tracciare un nesso tra le migliaia di morti e il governo è un membro delle forze dell’ordine direttamente coinvolto. Ufficialmente, secondo la PNP, delle 3.600 uccisioni portate a termine sinora, 1.375 sarebbero stata eseguite durante operazioni di polizia, 2.233 e più da ignoti vigilantes, ovvero criminali, signori della droga e altri fuorilegge impegnati una resa dei conti trasversale. La fonte del Guardian parla di una tripartizione degli incarichi: oltre alla polizia e agli ignoti “giustizieri”, ci sono poi gli “squadroni della morte” altamente addestrati, la categoria più minacciosa, stando ai racconti particolareggiati dell’insider, che ricorda perfettamente il giorno in cui i sui superiori annunciarono l’inizio della una nuova “strategia”.
La “neutralizzazione” funziona con un meccanismo a cascata. I leader dei team operativi ricevano una lista di obiettivi comprensivi di foto e dossier sui criminali da identificare. Poi uno o due membri della squadra si recano presso l’abitazione dei sospettati per effettuare accertamenti sul presunto coinvolgimento in attività illegali. “Così li studiamo e decidiamo in caso se portare a compimento la nostra giustizia. Ovviamente è il governo che ci ordina di farlo”, spiega la fonte, che aggiunge: “Non ci limitiamo a uccidere per piacere, ma se riteniamo di avere a che fare con un criminale incallito che si guadagna da vivere come un parassita a discapito degli altri, non abbiamo pietà. Gli somministriamo la peggiore delle fini”.
Gli angeli della morte operano di notte incappucciati e vestiti completamente di nero. In due-tre minuti identificano il bersaglio e lo freddano sul posto. Veloci, precisi e lontano da occhi indiscreti. Poi si sbarazzano del corpo, abbandonandolo in una città vicina o sotto a un ponte. Talvolta legano attorno alla testa un cartello in modo da identificare il cadavere come “pusher” al fine di disincentivare ulteriori investigazioni giornalistiche. Sebbene il Guardian sia stato in grado di confermare l’identità della fonte, il racconto non trova conferma in alcuna ricostruzione indipendente. Ma basta ad affilare gli strali avvelenati che da tre mesi colpiscono Duterte di pari passo con la moltiplicazioni di immagini splatter apparse sulla stampa locale.
Appena assunto il potere il “Giustiziere” – come è stato ribattezzato il presidente filippino – si è dato sei mesi per debellare il narcotraffico dall’arcipelago del Sudest asiatico. Un obiettivo perseguito attraverso l’estensione a livello nazionale del “modello Davao“, il metodo controverso con cui Duterte ha amministrato l’omonima città per diversi anni tra il 1988 e il 2016, e che implica la concessione di ampie libertà alle forze dell’ordine, compresa l’amnistia per i poliziotti finiti “dalla parte sbagliata della legge” per portare a compimento la loro missione.
Già nel 2009, Human Rights Watch aveva espresso la propria preoccupazione per la campagna anticrimine, pubblicando il rapporto You Can Die At Any Time con la speranza di ispirare più approfondite indagini sull’operato dell’ex sindaco. Ma da allora nessun progresso è stato fatto. Al sopraggiungere di una recente testimonianza sulle esecuzioni extragiudiziali presentata davanti al Senato, a settembre il nuovo numero uno della PNP, Ronald dela Rosa, – ex capo della polizia di Davao promosso al nuovo incarico da Duterte stesso – ha categoricamente negato l’esistenza degli “squadroni della morte” e di un’alleanza informale tra vigilantes e forze dell’ordine, bollandoli come “invenzioni dei media”. Una versione che finora non è bastata a zittire le condanne della comunità internazionale. Nazioni Unite, Stati Uniti e associazioni per la difesa dei diritti umani hanno reso note le proprie preoccupazioni per “il clima di illegalità” che avviluppa il paese asiatico, già reso instabile dalle annose minacce dei separatisti islamici che scuotono le province meridionali.
Ma, tra un inciampo e l’altro, la difesa della campagna antidroga sta costringendo il neo-presidente filippino a equilibrismi diplomatici di rischiosa esecuzione. Replicando agli ammonimenti di Barack Obama con ingiurie pressoché quotidiane, Duterte parrebbe intenzionato a coltivare rapporti strategici con potenze regionali storicamente meno amiche ma più funzionali in tempi di realpolitik. Anche a costo di “rivedere” la storica alleanza con Washington, Manila comincia a strizzare l’occhio al gigante della porta accanto e secondo partner commerciale, la Cina, al fine di ricucire lo strappo causato dalla precedente amministrazione con la richiesta al Tribunale internazionale dell’Aja di dirimere le questioni sulla sovranità nel Mar cinese meridionale. E poi c’è la Russia, a cui le Filippine guardano – scambi virtuosi a parte – come prezioso fornitore di armi. Accomunati da una certa avversione per le paternali moralistiche di Washington, è improbabile che Pechino e Mosca mettano in discussione le politiche poco ortodosse con cui Duterte mira a fare ordine in casa propria.
Al contrario, prendendo atto del fatto che il narcotraffico rappresenta un problema anche nella Repubblica popolare – principale hub per la produzione e l’esportazione di meth e altre droghe sintetiche nel resto dell’Asia fino in Europa – il regime cinese ha espresso il proprio endorsement al “Giustiziere”. Alla fine di settembre il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato in un comunicato che “la Cina sostiene (Duterte) ed è pronta a cooperare con le Filippine per formulare un piano congiunto nella lotta alle droghe”. E il sostegno non arriva soltanto dal gigante asiatico. Secondo un sondaggio della Pulse Asia Research, Duterte gode ancora dell’approvazione di ben il 91% della popolazione filippina.
Di Alessandra Colarizi
Mondo
Filippine, così Duterte ordina alla polizia di uccidere criminali e tossici. “Siamo angeli della morte”
La rivelazione di un funzionario delle forze dell'ordine che, parlando al Guardian, ha raccontato come agiscono le squadre per la lotta al crimine volute dal presidente. Finora hanno ucciso 3600 persone. Operano di notte incappucciati e vestiti completamente di nero. E i cadaveri vengono fatti sparire
“Non siamo cattive persone. Siamo angeli della morte incaricati di riportare le anime impure in cielo”. Protetto dall’anonimato, un alto funzionario della polizia filippina (PNP) confida al Guardian il ruolo svolto dalle forze dell’ordine nella lotta al crimine, responsabile di oltre 3.600 morti dallo scorso 1 luglio, ovvero da quando Rodrigo Duterte ha assunto ufficialmente l’incarico di presidente. Nel retro di un postribolo di Manila, l’uomo, che appartiene a uno dei dieci team speciali (ognuno composto da sedici membri) istituiti recentemente per colpire tossici, trafficanti e criminali, descrive nei minimi dettagli il modus operandi della polizia e il sistema con cui i cadaveri vengono fatti sparire. “Neutralizzare” i “parassiti” è il termine preferito dagli addetti ai lavori per descrivere la lunga scia di uccisioni.
Non si tratta di uccidere per piacere. Un obiettivo più elevato, non distante dal patriottismo, spinge i funzionari ad eseguire gli ordini. Ordini che vengono da molto in alto, spiega l’uomo responsabile in prima persona di 87 esecuzioni. Mentre insinuazioni sul ruolo svolto da Duterte si sono rincorse per mesi, è la prima volta che a tracciare un nesso tra le migliaia di morti e il governo è un membro delle forze dell’ordine direttamente coinvolto. Ufficialmente, secondo la PNP, delle 3.600 uccisioni portate a termine sinora, 1.375 sarebbero stata eseguite durante operazioni di polizia, 2.233 e più da ignoti vigilantes, ovvero criminali, signori della droga e altri fuorilegge impegnati una resa dei conti trasversale. La fonte del Guardian parla di una tripartizione degli incarichi: oltre alla polizia e agli ignoti “giustizieri”, ci sono poi gli “squadroni della morte” altamente addestrati, la categoria più minacciosa, stando ai racconti particolareggiati dell’insider, che ricorda perfettamente il giorno in cui i sui superiori annunciarono l’inizio della una nuova “strategia”.
La “neutralizzazione” funziona con un meccanismo a cascata. I leader dei team operativi ricevano una lista di obiettivi comprensivi di foto e dossier sui criminali da identificare. Poi uno o due membri della squadra si recano presso l’abitazione dei sospettati per effettuare accertamenti sul presunto coinvolgimento in attività illegali. “Così li studiamo e decidiamo in caso se portare a compimento la nostra giustizia. Ovviamente è il governo che ci ordina di farlo”, spiega la fonte, che aggiunge: “Non ci limitiamo a uccidere per piacere, ma se riteniamo di avere a che fare con un criminale incallito che si guadagna da vivere come un parassita a discapito degli altri, non abbiamo pietà. Gli somministriamo la peggiore delle fini”.
Gli angeli della morte operano di notte incappucciati e vestiti completamente di nero. In due-tre minuti identificano il bersaglio e lo freddano sul posto. Veloci, precisi e lontano da occhi indiscreti. Poi si sbarazzano del corpo, abbandonandolo in una città vicina o sotto a un ponte. Talvolta legano attorno alla testa un cartello in modo da identificare il cadavere come “pusher” al fine di disincentivare ulteriori investigazioni giornalistiche. Sebbene il Guardian sia stato in grado di confermare l’identità della fonte, il racconto non trova conferma in alcuna ricostruzione indipendente. Ma basta ad affilare gli strali avvelenati che da tre mesi colpiscono Duterte di pari passo con la moltiplicazioni di immagini splatter apparse sulla stampa locale.
Appena assunto il potere il “Giustiziere” – come è stato ribattezzato il presidente filippino – si è dato sei mesi per debellare il narcotraffico dall’arcipelago del Sudest asiatico. Un obiettivo perseguito attraverso l’estensione a livello nazionale del “modello Davao“, il metodo controverso con cui Duterte ha amministrato l’omonima città per diversi anni tra il 1988 e il 2016, e che implica la concessione di ampie libertà alle forze dell’ordine, compresa l’amnistia per i poliziotti finiti “dalla parte sbagliata della legge” per portare a compimento la loro missione.
Già nel 2009, Human Rights Watch aveva espresso la propria preoccupazione per la campagna anticrimine, pubblicando il rapporto You Can Die At Any Time con la speranza di ispirare più approfondite indagini sull’operato dell’ex sindaco. Ma da allora nessun progresso è stato fatto. Al sopraggiungere di una recente testimonianza sulle esecuzioni extragiudiziali presentata davanti al Senato, a settembre il nuovo numero uno della PNP, Ronald dela Rosa, – ex capo della polizia di Davao promosso al nuovo incarico da Duterte stesso – ha categoricamente negato l’esistenza degli “squadroni della morte” e di un’alleanza informale tra vigilantes e forze dell’ordine, bollandoli come “invenzioni dei media”. Una versione che finora non è bastata a zittire le condanne della comunità internazionale. Nazioni Unite, Stati Uniti e associazioni per la difesa dei diritti umani hanno reso note le proprie preoccupazioni per “il clima di illegalità” che avviluppa il paese asiatico, già reso instabile dalle annose minacce dei separatisti islamici che scuotono le province meridionali.
Ma, tra un inciampo e l’altro, la difesa della campagna antidroga sta costringendo il neo-presidente filippino a equilibrismi diplomatici di rischiosa esecuzione. Replicando agli ammonimenti di Barack Obama con ingiurie pressoché quotidiane, Duterte parrebbe intenzionato a coltivare rapporti strategici con potenze regionali storicamente meno amiche ma più funzionali in tempi di realpolitik. Anche a costo di “rivedere” la storica alleanza con Washington, Manila comincia a strizzare l’occhio al gigante della porta accanto e secondo partner commerciale, la Cina, al fine di ricucire lo strappo causato dalla precedente amministrazione con la richiesta al Tribunale internazionale dell’Aja di dirimere le questioni sulla sovranità nel Mar cinese meridionale. E poi c’è la Russia, a cui le Filippine guardano – scambi virtuosi a parte – come prezioso fornitore di armi. Accomunati da una certa avversione per le paternali moralistiche di Washington, è improbabile che Pechino e Mosca mettano in discussione le politiche poco ortodosse con cui Duterte mira a fare ordine in casa propria.
Al contrario, prendendo atto del fatto che il narcotraffico rappresenta un problema anche nella Repubblica popolare – principale hub per la produzione e l’esportazione di meth e altre droghe sintetiche nel resto dell’Asia fino in Europa – il regime cinese ha espresso il proprio endorsement al “Giustiziere”. Alla fine di settembre il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato in un comunicato che “la Cina sostiene (Duterte) ed è pronta a cooperare con le Filippine per formulare un piano congiunto nella lotta alle droghe”. E il sostegno non arriva soltanto dal gigante asiatico. Secondo un sondaggio della Pulse Asia Research, Duterte gode ancora dell’approvazione di ben il 91% della popolazione filippina.
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Damasco, 16 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Difesa siriano ha accusato domenica il gruppo libanese Hezbollah di aver rapito e ucciso tre soldati in Libano. Lo hanno riferito i media statali.
"Un gruppo della milizia di Hezbollah... ha rapito tre membri dell'esercito siriano al confine tra Siria e Libano... prima di portarli in territorio libanese ed eliminarli", ha affermato il ministero della Difesa, citato dall'agenzia di stampa Sana.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha dichiarato che un colpo d'arma da fuoco proveniente dal Libano ha colpito un veicolo all'interno di un centro residenziale nel nord di Israele. "Stamattina, uno sparo ha colpito un veicolo parcheggiato nella zona di Avivim. Non sono stati segnalati feriti. Lo sparo è molto probabilmente partito dal territorio libanese", ha affermato l'esercito in una dichiarazione. "Qualsiasi fuoco diretto verso Israele dal territorio libanese costituisce una palese violazione degli accordi tra Israele e Libano", ha aggiunto l'esercito.
Kiev, 16 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sostituito il capo di stato maggiore delle forze armate, con un decreto emesso oggi, mentre le truppe in prima linea di Kiev continuano ad essere in difficoltà. Secondo un comunicato, Anatoliy Bargylevych è stato sostituito da Andriy Gnatov, a cui "è stato affidato il compito di aumentare l'efficienza della gestione".
"È un combattente", ha detto Zelensky parlando di Gnatov. "Il suo compito è quello di apportare maggiore esperienza di combattimento, l'esperienza delle nostre brigate nella pianificazione delle operazioni, difensive e offensive, nonché uno sviluppo più attivo del sistema dei corpi d'armata", ha aggiunto. "Tutto ciò che le nostre brigate hanno imparato dalla guerra dovrebbe essere implementato al cento per cento a livello di pianificazione".
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Un uomo di 45 anni è stato dato alle fiamme nel bel mezzo di Times Square, a New York, la scorsa notte. Lo ha riferito la polizia. Le immagini delle telecamere hanno immortalato il momento in cui l'uomo, a torso nudo e gravemente ustionato, è stato trasportato d'urgenza dalle autorità in ambulanza dopo che le fiamme erano state spente.
La polizia afferma che il 45enne è stato soccorso alle 4 del mattino ed è stato portato in un ospedale vicino in condizioni stabili. Il suo aggressore sarebbe fuggito dalla scena ed è ricercato dalle autorità. Non sono state in grado di dire se l'attacco fosse casuale o mirato.
Gli investigatori hanno riferito che l'uomo era stato cosparso con un liquido infiammabile prima che qualcuno appiccasse il fuoco. La vittima, avvolta dalle fiamme, si era messa poi a correre, quando qualcuno è uscito da un'auto e ha spento il fuoco con un estintore a polvere.
Skopje, 16 mar. (Adnkronos) - La Macedonia del Nord ha dichiarato un periodo di lutto nazionale di sette giorni per l'incendio in una discoteca che ha causato almeno 59 morti e decine di feriti, mentre le autorità hanno arrestato 15 persone per interrogarle e il ministro degli Interni ha affermato che un'ispezione preliminare ha rivelato che il club stava operando senza la licenza necessaria.
Al termine di una giornata in cui il piccolo Paese balcanico è stato alle prese con un disastro mai visto da decenni, il ministro degli Interni Panche Toshkovski ha dichiarato che il club nella città orientale di Kočani, dove si è verificato l'incendio prima dell'alba, sembrava operare illegalmente.
Più di 20 persone sono sotto inchiesta, 15 delle quali sono sotto custodia della polizia, mentre altri sospettati di coinvolgimento si trovano in ospedale, ha aggiunto Toshkovski. La maggior parte delle vittime dell'incendio, che ha devastato il nightclub Pulse durante un concerto hip-hop, erano adolescenti e giovani adulti. Circa 155 sono rimasti feriti, molti in modo grave.
Mosca, 16 mar. (Adnkronos) - Il desiderio della Gran Bretagna di rubare i beni russi è legato alla lunga tradizione inglese della pirateria, diventata un segno distintivo della corona britannica insieme a "rapine e omicidi". Lo ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.
"Questa è una delle tradizioni inglesi, come bere il tè e le corse di cavalli. Il fatto è che la pirateria è stata legalizzata in Inghilterra", ha scritto la diplomatica sul suo canale Telegram. "Ai pirati era proibito attaccare le navi inglesi, ma era loro permesso derubare le navi dei concorrenti. Moralità immorale".
Beirut, 16 mar. (Adnkronos) - I media libanesi riferiscono di un morto in un attacco aereo israeliano nella città meridionale di Aainata. Ulteriori raid sono stati segnalati a Kafr Kila. Non ci sono commenti immediati da parte delle Idf.