C’è tensione ai piani alti dell’Inps. Da quando il presidente Tito Boeri ha tirato fuori dal cassetto il suo “regolamento di organizzazione, i sindacati non dormono più sonni tranquilli. E il governo non sa che pesci prendere per evitare fratture con le organizzazioni di categoria nel bel mezzo della campagna referendaria. Tutti sapevano del resto che l’Inps sarebbe stata una brutta gatta da pelare. Anche se ma mai finora lo scontro interno aveva raggiunto livelli così intensi mettendo in cattiva luce anche Matteo Renzi, che ha voluto Boeri a tutti i costi per rimettere in sesto la macchina amministrativa dispensatrice di oltre 250 miliardi di euro l’anno di pensioni attraverso una struttura di 29mila dipendenti.

Ma da dove nasce tanto imbarazzo e nervosismo? La parola chiave per capire a fondo le dinamiche del principale ente previdenziale del Paese è Civ, acronimo di Consiglio di indirizzo e vigilanza. Boeri vorrebbe tagliarne il numero di componenti e riorganizzarne il lavoro. Ma la faccenda non piace ai membri del Consiglio fra cui figurano Cgil, Cisal, Cisl, Ugl, tre ministeri (Economia, Interno e Lavoro) oltre ad una serie di associazioni delle imprese (dalla Legacoop a Confindustria passando per Cna, Coldiretti Confagricoltura) per un totale di 22 poltrone. Non solo: Boeri vorrebbe anche ridimensionare il Civ facendolo interagire direttamente con la presidenza senza metterlo in contatto con la direzione generale.

Perché? Semplice: all’Inps, come in mille altre realtà dell’amministrazione o delle partecipate pubbliche, i sindacati hanno da sempre fatto il bello e cattivo tempo in materia di avanzamenti di carriera dei dipendenti. Nell’ottica di Boeri, quindi, tenerli lontano da chi gestisce il personale, non può altro che essere un bene perché rompe un vetusto meccanismo basato su logiche di lottizzazione. “E poi perché mai il Civ dovrebbe entrare nella gestione dell’ente? Quale beneficio ne deriverebbe all’istituto? Non basta forse la funzione di indirizzo concordata con il presidente?”, si chiede retoricamente una fonte vicina a Boeri. “D’altro canto – prosegue – una cosa è fornire un indirizzo. Un’altra è invece avere un’influenza diretta su chi gestisce l’organizzazione dell’ente previdenziale”. In effetti, a ben guardare, se si ammette che il Civ debba avere un contatto diretto con il direttore generale, ci si troverebbe nella paradossale situazione di Arlecchino servo di due padroni. Il direttore generale dovrebbe infatti ascoltare contemporaneamente sia le ragioni del Civ che quelle del presidente. Una confusione di ruoli che di certo non aiuterebbe il funzionamento dell’enorme macchina amministrativa dell’Inps.

Se da un lato è questo lo scenario descritto dai sostenitori del presidente, dall’altro è ben diverso quello delineato dai suoi oppositori. Gli avversari di Boeri, Civ in primis, sostengono infatti che, con il nuovo regolamento, il presidente voglia fare l’asso pigliatutto puntando persino a ridimensionare il direttore generale, Massimo Cioffi. Prova ne sono sia il ridimensionamento del Civ sia la revisione dei suoi rapporti con il direttore generale. Ma soprattutto il fatto che entro l’anno decadranno tutti gli incarichi dirigenziali (48 direttori e 450 dirigenti) che poi verranno nuovamente affidati sulla base di una selezione affidata a una commissione di tre esperti interni nominati dallo stesso Boeri. “Il rischio è insomma che la scelta sul futuro staff dirigenziale dipenda solo dalla figura del presidente. Troppo potere nelle mani di una sola persona” commenta una fonte sindacale.

Stando così le cose, appare difficile immaginare di poter trovare un compromesso sul regolamento di Boeri. Di conseguenza il braccio di ferro interno fra presidente e Civ promette di essere solo la prima battaglia di una guerra ben più lunga per riorganizzare quell’enorme carrozzone pubblico che è l’Inps. Di certo non mancheranno i colpi di scena. Anzi, a dire il vero, il primo è già arrivato: per la prima volta nella vita dell’ente, il Consiglio di vigilanza è ricorso al Tar per chiedere l’annullamento del “Regolamento di organizzazione” varato dal presidente ed evitare così tagli e ridimensionamento. Naturalmente a spese dell’ente. Inoltre sono stati investiti dell’intera faccenda anche i ministeri competenti e poi il premier, che apprezza molto la riforma di Boeri il quale promette la riduzione delle direzioni dell’Istituto da 48 a 36 con risparmi a regime per circa 8 milioni che “contribuiranno a finanziare il piano di assunzione di 900 giovani laureati”. Le cifre in ballo sono musica per le orecchie del governo, che però non ama il trambusto mediatico che si è generato attorno all’affaire Inps.

Così, in quel complesso gioco delle parti che è la comunicazione politica dell’era renziana, è accaduto che il Tesoro abbia preso le distanze dalla riforma Boeri evidenziando che il ridimensionamento dei dirigenti non possa essere considerato “un’economia di bilancio utile a rinvenire una simmetrica copertura finanziaria”. Poi è toccato al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che ha anche fatto sapere di aver chiesto modifiche al regolamento della discordia. Senza tuttavia incidere sull’impianto della riforma. Palazzo Chigi, invece, ha preferito non sbilanciarsi sulla questione Inps chiudendosi in un silenzio che lascia spazio al dubbio interpretativo. Non a caso qualcuno ha ipotizzato una frattura fra Renzi e Boeri il quale, peraltro, non ha perso occasione per ricordare che se il governo vuole “l’Ape (anticipo pensionistico, ndr) c’è bisogno di una macchina più efficiente”. Motivo per cui “fermare adesso la mia riforma comporterebbe problemi anche per l’attuazione del provvedimento”. Ma sarà realmente vero che Boeri è uscito dal cerchio magico del premier? Fra gli addetti ai lavori, l’impressione è che le cose non stiano in questi termini. Tuttavia per avere una risposta, qualunque essa sia, bisognerà attendere un po’ di tempo. Almeno fino al 4 dicembre.

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