Confronto vivace a Otto e Mezzo (La7) sulla riforma costituzionale tra il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, e il deputato Pd, Matteo Richetti. Ad aprire le danze del dibattito è l’ex consigliere regionale dell’Emilia Romagna, che puntualizza: “Non è stato certo Renzi a chiedere a Benigni di schierarsi per il SI’. Peraltro, ho trovato condivisibile e simpatica la sua dichiarazione su Brexit. Dissento profondamente da Scanzi, perché così si crea un equivoco: se Benigni dice SI’ alla riforma, è governativo. Se pensiamo di passare i prossimi 60 giorni sul fatto che chi è favorevole alla riforma è governativo, non diciamo più che il referendum è sulla Costituzione“. “Non sono io quello che fino all’altro giorno ha personalizzato la lotta referendaria” – ribatte Scanzi – “Ho definito ‘filogovernativo’ Benigni, perché lui stesso ha detto serenamente che è amico di Renzi e che, se non si vota il Pd, si scende tra gli inferi a causa di Salvini e di Grillo“. E aggiunge: “Avete detto che cambierete l’Italicum, ma asserire che non esiste il rischio di deriva autoritaria o di un premier eccessivamente forte, è un po’ forzato. L’unica differenza con la riforma di Berlusconi è che quest’ultimo ci disse chiaramente che voleva una svolta nel premierato, stavolta la modifica è surrettizia. Il problema è che” – continua – “un presidente del Consiglio mai eletto e un governo mai eletto stanno riscrivendo la Costituzione con un Parlamento ritenuto illegittimo e sta facendo una legge elettorale che nessuno gli ha chiesto. A te sembra normale che si siano cambiati 47 articoli della Costituzione su 139 in maniera un po’ confusa, visto che l’art. 70 è scritto in una maniera che, se l’avessi fatto io, mi avrebbero bocciato all’asilo?“. Richetti replica: “Non sono estasiato dalla riforma, mi sono confrontato con molti limiti della riforma e miei emendamenti bocciati. Ma se dalla politica togli la capacità di costruire mediazioni e accordi, e dici di fare così oppure non se ne fa nulla, ecco svelata la ricetta di 50 anni di inconcludenza. Meglio questa riforma che niente. Questo Paese è un po’ troppo che sta fermo“. “Secondo voi voi l’impellenza che aveva questo Paese era cambiare male 47 articoli della Costituzione?” – controbatte il giornalista del Fatto – “La retorica, usata anche da Benigni, secondo cui se vince il NO, si sta fermi e addirittura ci si consegna alla Brexit è un falso storico”
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