Le domande che Paolo Borrometi pone nel pezzo dedicato ai “mafiosi che lavorano in carcere” meritano, da parte delle autorità competenti, risposte immediate e precise. Per quale ragione i due capimafia hanno potuto ritrovarsi e promuovere i loro traffici da dietro le sbarre? Chi ha ritenuto di liberarli dal carcere duro?
Quante e quali sono le situazioni analoghe nelle carceri italiane? Da quanto tempo i due boss e i loro familiari avevano ricostituito la rete dei traffici?
Le domande poste da Borrometi non possono esser liquidate con sufficienza, anche perché vengono da un cronista costretto a una “vita blindata” perché lo Stato lo ritiene nel mirino dei mafiosi e dei corrotti. Le sue denunce, pubblicate sulla Spia.it, si sono sempre rivelate accurate, documentate, fondate su documentazioni verificate attraverso l’incrocio di molteplici fonti a cominciare dalle relazioni curate dagli inquirenti. Per questo meritano una risposta. Dal momento che Borrometi chiede anche ai media di non far cadere il silenzio sulla vicenda invitiamo a leggere la sua denuncia.