Per la chiusura della stagione 2016 il direttore artistico Gigi Proietti non ha voluto far mancar nulla al pubblico affezionato del Globe Theatre di Roma. Così dopo l’esordio della scorsa stagione sono tornati in scena gli attori della Bedouin Shakespeare Company. Tra le mani del regista Chris Pickles l’opera del Bardo che è stata spesso accostata a summa artistica dei suoi scritti, da altri lascito o addirittura testamento, si nutre di linfa nuova.
Parliamo della Tempesta, penultima commedia scritta da William Shakespeare prima del suo ritiro a vita privata. L’esordio di The Tempest è datato 1611 e la storia di esilio, naufragio, bramosia, amore e ricongiungimenti che s’intrecciano in essa contiene molti temi e meccanismi narrativi propri del Bardo e disseminati precedentemente nelle sue pagine. Ma soprattutto La Tempesta è stata letta come poetico commiato al pubblico per il monologo finale del vendicativo Prospero, il protagonista al confino su un’isola misteriosa insieme alla figlia Miranda.
Intorno a loro ruotano le frenesie del mostruoso Caliban, originario abitante dell’isola, insieme alle sorti incerte dei naufraghi Antonio, fratello usurpatore di Prospero, e Alonso, Re di Napoli, con suo figlio Ferdinando. La storia sfoggia un inizio drammatico per convogliare al ricongiungimento finale. Lungo il percorso dello spettatore si alternano scene grottesche ad altre cariche di pathos che Pinkles mette in scena dosando costantemente leggerezza ed euforia. Nella scena del naufragio una lunga fascia tirata a V dagli attori ridisegna lo spazio scenico simulando lo scafo in balia dei flutti indomabili. Quasi scaraventa il pubblico del Globe tra le onde a guardare marinai e viaggiatori travolti dal nubifragio causato dalle stregonerie di Prospero e Ariel.
I costumi riportano a un’atmosfera dandy dei primi del ‘900. Potpuorri ancor più graffiante inserito tra i legni castani del Globe Theatre di Villa Borghese. Il caleidoscopio di allarga con l’arpia nella quale si tramuta l’Ariel dell’efebico e brillante George Caporn utilizzando artifici meccanici per le ali e un viraggio vocale digitale che guarda al fantasy. Mentre la decisione di musicare alcune parti del testo e aggiungere poche coreografie ha la precisa volontà di rinfrescare la commedia spolverando l’opera di musical.
Fa centro Pickles, pur non raggiungendo il sublime crea una mistura di epoche e linguaggi che valgono lo sforzo fortunato di seguire uno spettacolo in lingua inglese e senza sopratitoli. Tutto il fulgore della penna shakespeariana si ritrova invece senza orpelli nel personaggio e nella lingua di Prospero, con la presenza classica e austera di Jonathan Kemp. La firma del regista si registra però più marcatamente nella spinta verso la gag delle scene grottesche con Caliban. Il suo interprete è un panciuto quanto talentuoso Cory English. Insieme a lui brillano il Trinculo di Oliver Lavery, guascone che gigioneggia con il pubblico sotto i suoi baffi furbi anche nel suo primo ruolo, Sebastian, e lo Stephano di James King. Compongono un terzetto di clowneschi marmittoni, tra le scene più riuscite quella della baruffa per il fiasco.
La Bedouin Company è una compagnia internazionale che porta la propria rilettura di Shakespeare in giro per il mondo dal 2012. L’anno scorso ha esordito al Globe con The comedy of errors, presentando per la prima volta una pièce in lingua inglese. The Tempest resta in scena a Roma fino al 9 ottobre, ma proseguirà il suo tour con 6 date ad Abu Dhabi e una serata a novembre a Londra. In quanto a noi, per quest’anno siamo alla chiusura della stagione 2016. L’appuntamento con Shakespeare sotto le stelle romane e le tettoie in rovere delle Ardenne del Globe, dopo gli ultimi bagliori di questo The Tempest a scuotere le notti silenziose di Villa Borghese, è rimandato al prossimo anno.