I politici se ne riempiono spesso la bocca. La trasparenza. Poi tra il prometterla in campagna elettorale e il metterla in pratica per davvero il passo è molto lungo. Così, quando cittadini, associazioni o giornalisti cercano di recuperare documenti e informazioni dall’amministrazione pubblica, più che la sbandierata trasparenza, si trovano sbattuti in faccia veri e propri “Silenzi di Stato”. È questo il titolo del libro dell’avvocato Ernesto Belisario e del giornalista Guido Romeo, appena uscito per Chiarelettere, con un sottotitolo altrettanto emblematico: “Storie di trasparenza negata e di cittadini che non si arrendono”. E le dieci vicende raccontate rendono conto di cosa significhi mancanza di trasparenza dal punto di vista pratico: “Vuol dire per esempio avere difficoltà ad avere informazioni sullo stato di edifici pubblici che poi, quando c’è un terremoto, crollano – dice Belisario -. Oppure vuol dire che non ti è dato sapere se nella classe di tuo figlio i professori hanno i titoli previsti dalla legge per insegnare una certa materia”. E al professore di geografia Sergio Mantovani una cosa analoga è accaduta per davvero: ha presentato una serie di richieste di accesso agli atti in alcuni istituti della provincia di Cremona per vedere se i docenti prima di lui in graduatoria avevano i requisiti giusti, ma s’è dovuto scontrare con tanti “lei non può sapere”. E fa niente se, come scrivono gli autori del libro, “a trarre vantaggio della trasparenza dei titoli degli insegnanti in graduatoria sarebbero l’intero sistema scolastico e l’intera collettività”.
“La trasparenza non è un concetto astratto – sostiene Belisario -. Ma ha conseguenze sulla vita quotidiana di tutti noi”. La prima domanda a cui cerca di rispondere il libro è proprio questa: cos’è la trasparenza? “E’ un metodo di gestione e comportamento che la pubblica amministrazione deve scegliere di adottare, organizzandosi di conseguenza. In modo da rovesciare un paradigma: anziché farti vedere solo quello a cui hai diritto, ti faccio vedere tutto quello che non è segreto di Stato”. Ne verrebbe fuori un antidoto all’inefficienza degli uffici pubblici e alla corruzione. Ed ecco la seconda domanda del libro: a che punto siamo in Italia? “Siamo agli ultimi posti nelle classifiche internazionali come quella di Transparency International – dice Belisario –. Ma nonostante ciò, quando abbiamo finito di scrivere il libro, avevo l’impressione che fossero venuti fuori aspetti ottimistici, grazie alle storie di cittadini che si sono battuti per avere più trasparenza. Poi quando l’ho riletto tutto in una volta, ho preso un cazzotto nello stomaco”.
Perché le storie raccontate, tra cui c’è anche quella sulle informazioni negate a ilfattoquotidiano.it da parte di alcuni comuni sulle spese dei loro sindaci, sono quasi sempre vicende che non hanno un lieto fine. Dove alla richiesta di atti e documenti pubblici la risposta è stata no, senza che siano servite nemmeno lunghe battaglie in tribunale. Non importa se tale richiesta sia venuta dalla petizione di un gruppo di cittadini che volevano sapere quanto fosse costato alle casse pubbliche l’epic fail del portale Italia.it, quello del rutelliano “plis visit di uebsait”. O se sia venuta da un singolo cittadino, Angelo Manzoni, che dopo essersi ammalato di tumore chiedeva informazioni all’Asl sulla bonifica dall’amianto dello stabile in cui aveva lavorato per anni, in modo da poter contare su un risarcimento del danno che gli avrebbe consentito di curarsi meglio negli ultimi anni di vita. Sempre no.
Dietro l’esigenza di trasparenza non c’è solo un tema etico. Ci sono anche importanti implicazioni di carattere economico. “Secondo il Right to Information (RTI) Rating, la legge più evoluta in materia di trasparenza ce l’ha il Messico, un paese che certo non ci aspetteremmo ai vertici – nota Belisario –. Questo dimostra che per attirare nuovi investimenti bisogna puntare anche sulla percezione che gli altri hanno del tuo livello di trasparenza. Qualcuno investirebbe soldi in una società che non ti fa vedere il bilancio?”. In Italia la legge 241 del 1990, quella che norma l’accesso agli atti da parte dei cittadini, non ha dato gran prova di sé. E le pubbliche amministrazioni, a tutti i livelli, pur di non dare i documenti richiesti, si sono quasi sempre trincerate dietro al fatto che il cittadino non può svolgere “un controllo generalizzato” del loro operato, tanto per citare un comma inserito nella legge nel 2005, battezzato in modo malizioso “comma Andreotti”.
Ora le cose potrebbero cambiare, perché dall’anno prossimo inizierà a essere applicato il Foia (Freedom of information act) italiano, dopo che una mobilitazione della società civile, a cui hanno partecipato anche gli autori del libro, ha portato il governo a inserire nella riforma della pubblica amministrazione anche una nuova legge sulla trasparenza. Questa volta il diritto a un accesso generalizzato agli atti è stato messo nero su bianco. “Ma molto dipenderà dalle linee guida con cui entro dicembre l’Anac e il garante della privacy dovrebbero definire le eccezioni, ovvero i casi di particolare interesse pubblico che possono limitare il diritto di accesso dei cittadini”. Il libro si chiude dunque con una punta di ottimismo: cinquant’anni dopo gli Stati Uniti, ad avere un Foia ci siamo arrivati pure noi. In America le pratiche imposte dal Foia alla pubblica amministrazione, come l’obbligo di cercare i documenti richiesti, hanno un costo: “E’ un investimento di tre dollari per cittadino statunitense, ma da noi la corruzione ha un costo di mille euro per cittadino”. A conti fatti, dunque, una cosa converrebbe: che il nostro Foia non rimanga carta e basta.
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