Nuove regole per il 5 per mille alla cultura: si potrà decidere direttamente a chi destinarlo. Se finora gli enti pubblici che curano il patrimonio artistico più ricco al mondo non potevano essere indicati dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, dal 2017 si potrà scegliere il beneficiario. Un cambiamento sollecitato anche dalla Corte dei Conti che aveva segnalato diverse anomalie nella disciplina di assegnazione dei contributi: poca trasparenza, l’esclusione degli enti pubblici dalla ripartizione dei fondi e il fatto che, proprio a causa di questo limite, le risorse finissero a “enti privati quasi sempre non specializzati nel campo del restauro e della conservazione” senza, per altro, che questo aspetto fosse spiegato adeguatamente ai contribuenti. Il decreto ha sanato tutte le anomalie? “Il cambiamento fondamentale è rappresentato dalla possibilità di indicare il beneficiario della quota ed è una battaglia portata avanti da circa 5 anni”, dice a ilfattoquotidiano.it Carlo Mazzini, consulente sulla legislazione e sulla fiscalità degli enti non profit, che però sottolinea come “il fatto di avere gli strumenti giusti è una cosa, la corretta applicazione è un’altra. Vorremmo vedere come le nuove regole verranno messe in pratica, prima di esultare”. Basti pensare che lo scorso anno l’avviso per gli enti interessati alle risorse (che dovevano iscriversi sul sito del Mibac entro il 31 maggio) è uscito una settimana prima della scadenza.
IL DECRETO: AMMESSO AL RIPARTO ANCHE IL MINISTERO – Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto del presidente del consiglio dei ministri dello scorso 28 luglio, dunque, dalla prossima dichiarazione dei redditi si potrà indicare il codice fiscale dell’ente a cui si vuole donare la quota del 5 per mille dell’Irpef destinata, a scelta del contribuente, al finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. L’obiettivo è quello di “migliorare e rendere più efficaci – si legge nel testo – le modalità di richiesta e le procedure per l’iscrizione nelle liste dei soggetti ammessi al riparto” ma anche quelle per la distribuzione delle somme. A questo si aggiunge la necessità di rivedere la disciplina che regola “redazione e pubblicazione dei rendiconti, al fine di assicurare trasparenza ed efficacia nell’utilizzazione della quota del 5 per mille”.
NECESSARIO DIMOSTRARE CHE SI OPERA NEL CAMPO DA ALMENO 5 ANNI – Sono ammessi al riparto, oltre al ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e agli istituti ad autonomia speciale ad esso collegati, anche “gli enti senza scopo di lucro, legalmente riconosciuti, che realizzino, conformemente alle proprie finalità principali definite per legge o per statuto, attività di tutela, promozione o valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e che dimostrino di operare in tale campo da almeno 5 anni”. Anche questa una novità, perché decade il vincolo alla realizzazione (nel periodo di riferimento) di attività – per un valore complessivo di 150mila euro – di tutela, promozione o valorizzazione di beni culturali o paesaggistici appartenenti a soggetti pubblici, ovvero aperti alla pubblica fruizione.
SANATA L’ANOMALIA: IL CONTRIBUENTE PUO’ SCEGLIERE L’ENTE – Si tratta di un passo avanti necessario secondo la Corte dei Conti che aveva segnalato come proprio le anomalie nei criteri di riparto adottati in Italia avessero spesso permesso di finanziare “progetti di non particolare interesse”, mentre “non si comprende – scrivevano i giudici – il motivo per cui resti la preclusione di partecipazione per gli enti di diritto pubblico” soprattutto tenuto conto “dei rilevantissimi tagli di bilancio che il ministero interessato ha subìto negli ultimi anni”. Alla base di tutto c’era proprio la scelta, definita dai magistrati contabili “irrazionale”, di non dare la possibilità di scegliere a quale specifico ente dare il proprio contributo. Un sistema che, come evidenziato anche da ilfattoquotidiano.it, ogni anno portava ad ammettere al beneficio pochissimi enti, nonostante quello italiano sia il patrimonio culturale più ricco al mondo. Sono stati 13 nel 2012, 17 nel 2013, 26 nel 2014. “Ma c’è di più – spiega Mazzini – perché finalmente si volta pagina anche rispetto alla vecchia divisione dei programmi in tre fasce ai fini del riparto. Una vera follia”.
A quelli da 30mila a 100mila euro veniva assegnato il 30% delle risorse disponibili. stessa percentuale anche per quelli tra 100mila e 300mila euro, mentre ai programmi che avevano un valore superiore andava il restante 40%. Le risorse disponibili venivano ripartite in misura proporzionale al valore economico dei programmi ammessi. Quindi per ottenere di più bastava puntare in alto e per ottenere risorse bisognava sperare di capitare nella fascia con minori richieste. “Oggi tutto questo – spiega l’esperto – viene sostituito dalla volontà del contribuente, finalmente libero di destinare a chi vuole quella quota di Irpef, senza che il ministero possa metterci becco”.
LA NUOVA PROCEDURA – Dal 2017 i soggetti che intendono beneficiare del riparto devono presentare (entro il 28 febbraio di ciascun anno) domanda di iscrizione nell’apposito elenco tenuto dal Ministero. L’istanza deve essere presentata on-line seguendo la procedura accessibile dal sito istituzionale, allegando una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (relativa al possesso dei requisiti richiesti per l’ammissione) e una relazione descrittiva dell’attività svolta negli ultimi 5 anni. In caso di interventi di restauro devono essere allegate anche le copie delle autorizzazioni rilasciate dalle sovrintendenze competenti e degli atti di collaudo. Entro il 20 marzo di ogni anno, il ministero pubblicherà sul suo sito l’elenco degli enti ammessi ed entro il 1 maggio (dopo eventuali rettifiche di errori) due distinti elenchi definitivi (uno per gli enti ammessi al riparto con il relativo contributo, l’altro per quelli esclusi) che saranno trasmessi anche all’Agenzia delle Entrate. Sono previsti controlli, anche a campione, sulla veridicità delle dichiarazioni e i soggetti che non dovessero risultare in possesso dei requisiti previsti saranno cancellati dall’elenco. E mentre prima gli enti erano tenuti ogni anno a ripresentare domanda di iscrizione e dichiarazione sostitutiva, questo non sarà più necessario. Come per il 5 per mille generale, se l’ente continua a possedere i requisiti, l’iscrizione resterà valida anche per gli anni successivi e verrà inserito in un apposito elenco, integrato, aggiornato e pubblicato sul sito web del ministero il 31 marzo di ogni anno.