L’immigrazione di massa verso l’Europa, proveniente dai paesi del Sud flagellati dalla guerra e dalla fame, ha finora favorito la crescita della destra populista e xenofoba, fino alla erezione in molti paesi di fili spinati per bloccare l’ingresso dei migranti, e alla costruzione di un vero e proprio muro a Calais, tra l’Inghilterra e la Francia, i due paesi culla della migliore tradizione liberale e socialista europea.
Ma l’immigrazione, se gestita come inclusione oltre che come accoglienza, potrebbe essere anche l’occasione per superare la crisi dell’Europa, che dai migranti già trae benefici materiali (accudiscono i nostri anziani e raccolgono i nostri pomodori) e monetari (pagano le tasse). Il beneficio maggiore è – potrebbe essere – quello derivante dalla loro diversità culturale, decisiva per ringiovanire e rinvigorire il Vecchio Continente, se fossimo disposti e capaci di costruire insieme a loro, a poco a poco, un nuovo progetto di Europa, attraversando insieme il confitto inevitabile che la loro inclusione necessariamente comporta.
Un progetto di cui l’Europa ha comunque bisogno, per lasciarsi alle spalle il Trattato di Maastricht e le politiche di austerità. Un progetto di conversione ecologica “socialmente desiderabile”, come sosteneva Alexander Langer già nel 1994, che leghi la riconversione ecologica del sistema produttivo alla riconversione personale degli stili di vita: un cambiamento che non si può fare per legge. Questo è quello che Papa Francesco non si stanca di ripetere con la sua “ecologia integrale”, quando ci ricorda che gli esseri viventi sono legati gli uni agli altri e tutti insieme alla terra (al Creato, dice il Papa) e ci chiede di lottare contro la guerra e contro la violenza verso i diversi e verso l’ecosistema.