Sapevate che i bambini che nascono in una famiglia omogenitoriale hanno più probabilità di ammalarsi rispetto a quelli concepiti in una famiglia tradizionale? L’incipit è volutamente provocatorio, ma è proprio così. Ma non per via dell’orientamento sessuale dei genitori (omosessuali) o perché manca un padre o una madre. No. Secondo la comunità scientifica internazionale, all’unanimità, l’unica malattia connessa ai bambini arcobaleno è il minority stress, ossia il “bullismo” che l’ambiente può attivare contro tali piccoli soggetti. “La condizione di stress di natura cronica che caratterizza la vita di determinate persone – si legge nella ricerca dell’Università di Napoli Federico II – le cui differenze sono oggetto di stigma (o che, comunque, sono considerate come negative all’interno di un determinato gruppo sociale o ambiente socio-culturale), prende il nome di minority stress. Tale forma di stress può colpire alcune minoranze come, ad esempio, quelle sessuali oppure quelle composte da insiemi di persone che possiedono determinate caratteristiche (Valerio, Scandurra & Amodeo, 2014)”.

Già lo psicoanalista Vittorio Lingiardi, nel 2007, aveva approfondito il tema spiegando come la conoscenza della propria condizione (bambini arcobaleno) si basa prevalentemente sulle informazioni e sui modelli che vengono veicolati dai media, senza altro sostegno di adulti comprensivi che possano favorire supporto, poiché sono molto pochi coloro che sono formati e informati sulle specificità delle famiglie omogenitoriali. Di solito, infatti, il confronto tra pari, gli incontri con altre persone allevate da coppie omosessuali, avvengono in situazioni successive. Ecco che la condizione di stress prolungato, derivato dal pregiudizio e dalla discriminazione, diventa fonte significativa e influente sulla salute mentale, soprattutto se si percepiscono determinati contesti sociali come ostili, avversi o indifferenti.

Anche per questo la ricerca, voluta dalla Fondazione Genere Identità Cultura e finanziata dal Centro di Ateneo SInAPSi (Servizi per l’Inclusione Attiva e Partecipata degli Studenti dell’Università di Napoli Federico II), è molto utile per entrare in contatto con alcuni meccanismi distorti delle nostre società, cause di malattie infantili che possono essere evitate e curate, a patto che la comunità sociale stessa accetti di mettersi in discussione, e rivedere alcuni modelli culturali incapaci di essere inclusivi. Dice Mariano Gianola, autore della ricerca: “L’inerziosa e, spesso, acritica tendenza umana, esemplifcatrice e riduttrice delle realtà possibili e percepibili, compie uno dei suoi più grandi omicidi quando, voracemente e sintomaticamente, nega sostanza e legittimità ai differenti colori e sfumature che può contemplare ogni atomo appartenente alle identità individuali e sociali. L’estrema prescrittività del dualismo di genere e le concezioni monodimensionali etero-centriche rappresentano i capri espiatori di questa terribile e, purtroppo, impeccabile missione distruttrice”.

Da leggere questa ricerca di Sinapsi Pubblicazioni (gratuita qui), perché educa noi adulti all’ascolto, all’accoglienza, al dialogo e al confronto con le diversità, aiutandoci a diventare persone migliori, guardiani contro infanzie calpesatate in nome di principi che la contemporaneità ci chiede di ridiscutere. Leggere insomma per difendere tutti quei bambini offesi, picchiati, esclusi, relegati al margine, stigmatizzati, discriminati e considerati “frutto di un errore”. I bambini figli di coppie omogenitoriali, ma anche (questo il focus della ricerca nel quartiere napoletano di Secondigliano) “femmenelle” e “signurine mascolone”, ossia bambini “gender nonconformity“, bambini che non si “conformano” a quelle che sono le norme sociali che stabiliscono come devono essere e comportarsi i maschi e le femmine (vedi il primo blog italiano sui bambini gender fluid). E’ ben descritto come, per non essere vittime di bullismo, spesso si preferisce negare o nascondere il proprio sé, dall’inscenare comportamenti accettati dai compagni, anche omofobici, fino al sotterrare la propria libertà nel più recondito nascondiglio. La ricerca è empirica e descrive, utilizzato il metodo etnografico, alcune dinamiche sociali nelle quali la cultura del binarismo di genere sacrifica e demonizza l’altro quando questo non si confà ad essa, calpestando la sua dignità e non rispettando il suo diritto all’autodeterminazione.

Come proprio Lingiardi ha ben spiegato, l’omofobia sociale introiettata nasce proprio nell’infanzia, quando, vittime di credenze obsolete, i bambini vengono bollati con etichette condannanti e giudicanti ogni forma di diversità, soprattutto se riguardante la fluidità di genere, che li accompagna in un periodo della propria esistenza che dovrebbe essere quello più sereno, felice e spensierato.

Per fortuna, anche in Italia stanno nascendo case editrici (Lo Stampatello in primis), progetti e libri capaci di raccontare ai più piccoli il loro stesso mondo, che oggi, per fortuna, è più aperto, cangiante, e include un fluttuare di identità capace di garantire una vita libera. Due esempi? La favola “Sole ama Sole” (Sinapsi Edizioni), appena pubblicata, e Librì Progetti Educativi , una casa editrice che tra gli innumerevoli progetti per i bambini e le loro famiglie (ad oggi una community di 500 mila famiglie), ha in cantiere l’educazione alle diversità.

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