Il presidente del Consiglio, ospite alla trasmissione su RaiTre, parla di legge elettorale e referendum, minoranza Pd e Ignazio Marino. E su chi nel partito non esclude di votare No il 4 dicembre dice: "Penso anche che un cittadino a casa sia capace di farsi un’idea nella propria testa. Non votano le correnti"
“Ieri ho fatto contronatura anche una proposta di mediazione ulteriore” sull’Italicum. Ma se nella minoranza chiedono l’accordo prima del 4 dicembre e non si fidano “fanno bene a votare No. Se hai cambiato idea avrai i tuoi motivi io da segretario faccio di tutto per tenere tutti in squadra. Ma siamo un partito democratico e meno male”. Matteo Renzi, ospite a Politics su RaiTre, risponde alle domande di Bianca Berlinguer, del direttore del Foglio Claudio Cerasa e del vicedirettore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri. Parla di legge elettorale e referendum, minoranza Pd e Ignazio Marino. Difende la riforma, perché “siamo l’unico Paese ad avere due fiducie” e ricorda che “se vince il sì ci saranno 730 persone con l’immunità” parlamentare, “se vince il no resteranno le 950 che sono adesso. Questa è matematica“.
Poi liquida le polemiche interne al Pd – interessanti solo per “gli addetti ai lavori” e meno “della pastorizia” e torna sulla direzione del partito di lunedì 10 ottobre, dove ha proposto una mediazione sulla legge elettorale. Ma non ora: dopo il referendum. Un’apertura che non ha sanato il rischio scissione della minoranza, scettica e diffidente rispetto all’ipotesi del segretario. Minoranza che ritorna parlando della consultazione di dicembre: “La stragrande maggioranza del Partito democratico voterà Sì, alcuni hanno dubbi e lo rispetto. Penso sia contraddittorio aver votato Sì in parlamento e ora dire No ma penso anche che un cittadino a casa sia capace di farsi un’idea nella propria testa. Non votano le correnti”.
Gli attacchi, poi, proseguono quando ricorda quanto aveva detto al Foglio: “La minoranza – dice durante la trasmissione di Gianluca Semprini – del mio partito non vuole i voti del centrodestra, capisco perché si chiama minoranza”. Parole con cui si era scontrato anche con l’ex segretario Pierluigi Bersani. Vorrebbe cacciarlo?, chiedono dallo studio. “Ovviamente no, decideranno gli elettori del Pd a chi dare la guida del partito col congresso. Il Pd ha ogni quattro anni un congresso e li facciamo solo noi. Gli altri fanno i contratti privati con sanzione e le cene ad Arcore. Nel 2017, entro l’8 dicembre, ci sarà il nuovo congresso Pd. Chi avrà un voto in più vincerà, chi uno in meno farà opposizione. Ma il referendum non c’entra. Solo voi pensate che riguardi il Pd“. E fare “una grande nuova legge elettorale come Pd” per Renzi “non basta”. Perché “per vincere le elezioni ci vogliono i voti, non le leggi elettorali. E siccome il Pd l’ultima volta le elezioni non le ha vinte ci vogliono i voti, da soli non li abbiamo in Parlamento”. Poi ricorda che “quelli che ora stanno dicendo di No per il combinato disposto con la legge elettorale – e non parlo solo del Pd – ma anche di alcuni come Schifani, la riforma l’hanno votata sei volte in Parlamento“.
A chi gli domanda perché abbia deciso di mettere la fiducia sul ballottaggio e ritiene che il secondo turno possa essere antidemocratico, ha spiegato che “è una proposta storica per questo paese. Ora non capisco come si possa dire che il ballottaggio è antidemocratico. Allora Appendino, Merola, Sala sono sindaci antidemocratici? Ma detto questo – prosegue – va bene: vogliamo fare col primo turno, col secondo. Per me la cosa più importante è che alla fine siano i cittadini a decidere chi governa“. E insiste: questi sono temi che riguardano gli addetti ai lavori, perché “la stragrande maggioranza degli elettori del Pd non ne può più delle discussioni interne” e “la legge elettorale non è la cosa più importante per il Paese”. Di più: “Alla gente interessa più la pastorizia che le correnti del Pd“, prosegue facendo riferimento a un commento su Facebook. Quindi “non si può tutte le sante volte continuare a passare le ore, le settimane, a discutere di cose che interessano solo gli addetti ai lavori. A me il terremoto toglie il pensiero e il sonno, non la legge elettorale“.
Arriva anche la domanda su Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma che è stato assolto dall’accusa di peculato, truffa e falso. Gli chiedono se voglia chiedergli scusa. “Prego? – dice – Marino si è dimesso lui, poi ha ritirato le dimissioni e a quel punto i consiglieri del Pd hanno ritirato la fiducia. Un sindaco si giudica su come si tengono le strade, i rifiuti. Io lo so: è più difficile fare il sindaco che il primo cittadino”. La sua assoluzione, continua, “è un bene: vale per Errani, Cota, vale per tutti. Noi non siamo giustizialisti“.
Parlando di economia, esprime la sua vicinanza ai lavoratori di Almaviva che “è una priorità assoluta” e parla di debito pubblico. “È rimasto al 132% in modo stabile – dice – da quando sono presidente del Consiglio perché è proporzionale al Pil“. Bilancio positivo del suo governo anche sulle tasse che, aggiunge, “continuano ad andare giù: l’Ires passa al 24%, l’Iri al 25% e ci sono più soldi per gli imprenditori che anziché mettersi soldi in banca li danno alle aziende”. Ricorda che “approveremo la manovra sabato 15 ottobre” e specifica: “Abbiamo messo 900 milioni per il fondo di garanzia” sul credito: “Forse li mettiamo prima del 2017. Sono soldi aggiuntivi”. Dice di non potere ancora rivelare la cifra, ma “l’aumento delle pensioni minime varrà meno di 80 euro” e per chi “vuole andare in pensione prima, la penalizzazione sarà meno del 5 per cento”. Arriva anche il tema banche: “Il governo le ha commissariate, non ha fatto le nomine. Io sono il presidente del Consiglio che non ha messo il naso nelle nomine, a farlo sono stati quelli di prima”, ha aggiunto, puntualizzando di non avere “scelto l’amministratore delegato di Mps“, né tanto meno di avere “messo bocca sulle nomine”.