“Il sì che non ti aspetti: per Renzi appello di 68 firme da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia” – il titolo di un pezzo sulll’Huffington Post di ieri 12 ottobre, dedicato all’intramontabile vecchia guardia movimentista sessantottarda con annesso e connesso contorno dei movimenti d’allora: da quello studentesco a quello dei lavoratori per il socialismo e altre ed eventuali organizzazioni politiche tutte rigorosamente de sinistra. Le quali, se “all’epoca facevano fatica a esprimere istanze unitarie”, colta l’ennesima palla loro offerta dal referendum del 4 dicembre, sembrano aver ritrovato l’accordo nel sostegno a Renzi – dai militanti e attivisti d’antan si è sempre smarcato – firmando il loro manifesto ‘68 per il Sì.
Tra i 68 promotori per lo più sconosciuti per non dire ignoti, riemerge dall’oblio l’ex lottatore indefesso Carlo Panella, nonché cotal Gabriele Nissim il quale, nonostante nel ’68 fosse stato protagonista a 18 anni (chapeau), vide poi bene di lavorare per Canale 5, Panorama, Il Giornale e via discorrendo. Maurizio Carrara noto per esser presidente del Pio Albergo Trivulzio, la madre di tutte le tangenti da cui si dipartì Mani Pulite. Erminio Quartiani già deputato del Pd e attualmente vicepresidente del Cai, Club Alpino Italiano. Tra i nomi poco noti persino alla bocciofila sotto casa, si staglia quello di Danilo Taino, un onesto corrispondente del Corsera, che non si capisce come si sia potuto aggregare a questa congrega di giganti, talmente grandi da far tremare i polsi ai comitati per il No, in seguito alla lettura e rilettura del seguente appello.
“Lungo gli anni di un mai cessato impegno pubblico, abbiamo appreso che la democrazia non è un tram che si prende e dal quale si scende alla fermata improbabile di qualsiasi tipo di rivoluzione; non significa solo gridare nelle piazze, nelle assemblee, sui social-media le proprie ragioni; non è soltanto rappresentanza, ma anche governo; non è solo popolo, ma anche istituzioni. La Costituzione è bella, ma anche perfettibile. Il tempo presente richiede decisioni tempestive, apparati leggeri, eliminazione di doppioni inutili e costosi e l’allineamento istituzionale con le democrazie più avanzate. Ecco perché noi voteremo Sì e invitiamo a votare Sì nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016”.
Si noterà che, a parte la retorica in politichese, non si accenna nemmeno di striscio a una mezza proposta concreta di riforma di una schiforma, che ci chiede di avvallare una pseudo democrazia di fatto ormai morta e sepolta. Addirittura inventando una sorta di sindacato di reduci sessantottini che il movimento d’antan aveva rifiutato (il rifiuto della delega), e di essere rappresentato da gente che, ammesso e non concesso che quel periodo l’abbia vissuto da dirigente (sic!), come afferma la probabile giovin signora Angela Mauro che firma l’ilare ed esilarante pezzetto di cui sopra.
A questo proposito mi ritornano in mente le sbellicate di Mauro Rostagno – del ’68 fu leader – quando nel 1977 vuotò il sacco su quella che già allora considerava la sua “vecchia esperienza politica”, rilasciandomi al registratore dichiarazioni come questa: “Meno male che non abbiamo vinto” e “ma ti rendi conto… io marxista d’avanguardia… una cagata senza precedenti! Tutto basato su una visione machista e penetrativa… d’avanguardia. Il migliore, il leninista d’avanguardia del partito d’acciaio, il partito dei coscienti che penetrano le masse portando loro la coscienza, eccetera. Noi l’avevamo già capito che questa era una gran cagata”.
Questi tra i molti altri suoi pensieri e bilanci che pubblicai in almeno due saggi sul ’68 e dintorni. Per non dire della sua netta presa di distanza nei confronti del moralismo e dello pseudo perbenismo dei suoi ex amici e indefessi lottatori continui i quali, cessati i trucchi e dismessi i parrucchi, divennero manutengoli e reggipancia di tipi alla Berlusca & co.
A loro riferendosi, in un suo pezzo su Linus, titolato Vecchidimerda, Giorgio Cappozzo verga: “Hanno accumulato ricchezze truffando, rubando e corrompendo. E ora ci dichiarano guerra”. Una guerra, quella del referendum, che da perdenti che storicamente sono stati, ancora una volta perderanno. Persino nel caso di vittoria dei Sì.