Né picchiato né percosso. Riccardo Magherini è morto soprattutto a causa della cocaina che aveva assunto. Lo afferma il giudice di Firenze Barbara Bilosi, secondo la quale lo stato d’intossicazione in cui si trovava il 40enne il 3 marzo 2014 fu “preponderante” nel determinarne il decesso rispetto alle manovre messe in atto dai militari per bloccarlo. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna di tre carabinieri per omicidio colposo al processo sulla morte dell’ex calciatore. Processo che, conclusosi il 13 luglio scorso, portò all’assoluzione di un quarto carabiniere e tre volontari della Croce Rossa.
Magherini era “in pesante condizione di intossicazione acuta” – Era la notte tra domenica 2 e lunedì 3 marzo 2014. Magherini era in strada, a Borgo San Frediano, centralissimo quartiere di Firenze, e cominciò a dare in escandescenze; quando i carabinieri intervennero per ammanettarlo, il 40enne tentò di ribellarsi, e fu trattenuto per alcuni minuti con la faccia contro l’asfalto, a torso nudo. Quando l’ambulanza lo trasportò all’ospedale, Magherini risultò essere morto. La giudice Bilosi spiega ora che nel momento dell’arresto l’uomo “era in una condizione pesante di intossicazione acuta per l’assunzione di stupefacenti (cocaina, ndr) e in preda a un delirio allucinatorio manifestatosi prima dell’intervento delle forze dell’ordine”. Furono molteplici, si legge nelle motivazioni della sentenza, i fattori che hanno “contribuito sinergicamente al decesso” dell’uomo: l’intossicazione acuta da cocaina “fonte di stress catecolaminergico”; l’immobilizzazione da parte delle forze dell’ordine; i tentativi di liberarsi; la posizione in cui fu tenuto “pur senza compressione”. Ebbene, tra questi proprio la “componente tossica” va considerata come “assolutamente preponderante, avendo essa stessa determinata una condizione di stress catecolaminergico e di deficit di ossigeno, innescando le condizioni sulle quali hanno pesantemente influito gli avvenimenti successivi, in primo luogo la resistenza opposta dalla stessa vittima all’operato delle forze dell’ordine, causa di ulteriore stress”. La giudice precisa inoltre che “il valore della componente che ha determinato lo stato asfittico è ben diverso da quella che può essere la componente asfittica in uno strozzamento o in uno strangolamento”: la cocaina, pertanto, ha influito in maniera determinante.
“L’intervento dei carabinieri era legittimo” – L’intervento dei carabinieri, prosegue la Bilosi, “era legittimo e giustificato dalla necessità di bloccarlo”, ma “le lesioni riportate non possono essere in alcun modo ricondotte ad un’azione dei militari che, ad eccezione di due calci privi di efficienza causale sul decesso, non lo hanno picchiato, percosso, leso in alcun modo, come emerso nettamente dalla consulenza medico legale e come oggettivamente confermato dalla condotta autolesionistica di Magherini”. I carabinieri, scrive ancora il giudice, dovevano bloccare Magherini “per salvaguardare la sua incolumità e quella pubblica, essendosi quanto meno reso autore di un reato per cui è previsto l’arresto in flagranza”. E comunque nell’intervento “non è stato adoperato alcun strumento offensivo“. Riferendosi alle ferite riscontrate sul corpo di Magherini, il giudice Bilosi scrive anche che “quei segni sono stati causati dallo sfregamento del volto sull’asfalto, dall’uso di manette, dall’inginocchiamento in terra volontario e ripetuto e dallo sfondamento di due vetrine con il corpo”.
“L’atteggiamento della vittima ha contribuito al suo decesso” – La sentenza del 13 luglio scorso aveva condannato a 7 mesi di reclusione i militari dell’Arma Stefano Castellano e Agostino Della Porta, a 8 il collega Vincenzo Corni, anche se nei suoi confronti non si è proceduto per il reato di percosse per difetto di querela. Nel giustificare la “determinazione della entità della pena, da contenere nei limiti in cui si è accertata e delimitata”, la Bilosi spiega che “il contributo arrecato dalla vittima alla produzione dell’evento deve essere tenuto in considerazione”: bisogna insomma tener presente che “l’assunzione di sostanze stupefacenti” da parte di Magherini ha influito in modo importante nel provocarne la morte. Quanto al “rimprovero di colpa negligente per omissione” contestato ai militari, questo “deve essere contenuto nell’arco temporale che va dalle ore 1.31 alle 1.44” del 3 marzo 2014, cioè quelli relativi all’intervento in strada da parte dei carabinieri.
“Nessun depistaggio”. La critica agli avvocati di parte civile – Risulta inoltre “del tutto infondata la tesi di presunti tentativi di depistaggio“, prosegue la giudice, precisando che “all’intero svolgimento della vicenda ha assistito una pletora di persone e un intero quartiere”. Su questo punto, la Bilosi ha sottolineato l’infondatezza del parallelismo proposto con il caso relativo alla morte di Federico Aldrovandi a Ferrara nel 2009. La sentenza relativa a quella vicenda, si legge, “non è in alcuna parte riproponibile nel contesto in esame, dove le indagini si sono svolte in tutte le direzioni e nessun ostacolo è stato frapposto a sbarrare le ipotesi di altre cause di decesso”. Il giudice critica inoltre la strategia processuale degli avvocati delle parti civili, i quali “hanno preteso di assimilare sul piano fattuale e giuridico con assoluta e cieca determinazione situazioni in tutto differenti, alimentando aspettative eccessive nei propri assistiti e, di conseguenza, tensioni del tutto inopportune nei confronti delle forze dell’ordine di cui hanno sostenuto la brutalità di quell’intervento ritenuto causa esclusiva del decesso”.