Ann Morton Hyde, consulente Ue, boccia la scelta italiana: solo nel Belpaese esistono campi gestiti dalle istituzioni e riservati esclusivamente ai rom. A Neukölln, quartiere a sud della capitale, un complesso ne ospita 600 di nazionalità romena. Per loro un appartamento con affitto calmierato e assegni di mantenimento, come per qualsiasi cittadino europeo in difficoltà. Bitonci: "Così si creano ghetti pericolosi"
A Berlino ci sono 20mila rom. A Milano circa 4mila. A Roma, poco più di 10mila. “Come possono numeri così esigui a essere un problema così importante per voi italiani?”. Ann Morton Hyde, consulente Ue, lancia il sasso. Per lavoro, Hyde, gira l’Europa per valutare le politiche di ogni stato rispetto alla comunità rom. Unica, la scelta italiana: solo nel Belpaese, infatti, sono stati creati campi gestiti dalle istituzioni e riservati esclusivamente ai rom. “Non capisco perché pensiate che vogliano vivere solo in ghetti comunali”, racconta lungo la strada verso Neukölln, quartiere dove si trova il progetto d’eccellenza dell’accoglienza rom di Berlino, un complesso dove vivono 600 rom romeni di cui 231 bambini. Per loro un appartamento (con affitto calmierato) ma anche assegni mensili di mantenimento, come per qualunque cittadino europeo in difficoltà economica che abbia già un lavoro part-time in suolo tedesco.
“Funziona così – spiega Karmen Vesligaj, direttrice di Phinove, ong che lavora con i rom di Neukölln – se guadagni 500 euro al mese e il tuo affitto è di 500 euro, allora lo Stato ti invierà un assegno di 550 euro”. Quello di Neukölln è l’unico progetto nel suo genere di Berlino, ma si inserisce in una politica tedesca di appartamenti di emergenza, case popolari e aiuti economici. “In Italia, invece ai rom non è permesso neppure l’accesso ai bandi per le casa popolare – spiega Maurizio Pagani, presidente di Opera Nomadi Milano – perché risiedere in un campo nomadi li esclude automaticamente dalla graduatoria”. Quella tedesca è invece “un’iniziativa fallimentare” secondo il primo cittadino leghista di Padova Massimo Bitonci. “Mettere così tanti rom tutti assieme renderà pericoloso il quartiere tedesco – racconta il sindaco sceriffo – meglio fare come a Padova, ovvero dividere le famiglie rom e distribuirle in varie parti della città: solo così possiamo controllarle e risolvere il problema”.
Associazione 21 luglio: “In Italia solo un rom su 5 vive nei campi, ma la P.A. continua a costruirli”
Il modello abitativo tedesco sarebbe “importabile” in Italia, continua Hyde, perché le cifre italiane e tedesche non differiscono di molto. “Sono 120mila i rom in Germania – precisa Ina Rosenthal, project manager di Hildegard Lagrenne Stiftung, la più grande ong di Berlino che si occupa della minoranza – di cui 70mila con cittadinanza tedesca”. Al di ua delle Alpi sono 160mila, metà dei quali italiani mentre gli altri prevenienti da Romania o ex Jugoslavia. Di questi, stando al report di Associazione 21 Luglio “solo uno su cinque vive nei cosiddetti campi”. Una percentuale che corrisponde allo 0,06% della popolazione italiana, eppure “in Italia gli interventi pubblici restano mirati esclusivamente alla realizzazione di campi – continua Pagani – mentre sono assenti politiche per scolarizzazione (solo il 30% degli aventi diritto frequenta le scuole dell’obbligo, ndr) o formazione professionale”. A Milano, per esempio, dei 5,6 milioni di euro spesi dall’amministrazione per il Piano rom e sinti dal 2014 al 2015, 260mila erano destinati a scuola e lavoro mentre oltre 4 milioni alle espulsioni dagli insediamenti irregolari.
Berlino: “Non chiederemmo mai ai rom di vivere nei campi”
“Non chiederemmo mai ai rom di vivere in campi nomadi”, chiude Robin Schneider, responsabile dell’area Lavoro, donne e integrazione del Comune di Berlino. “No” ai campi rom perché, a suo dire, non permettono ai loro ospiti di diventare economicamente indipendenti. E infatti, quella della “Little Romania” di Neukölln è una soluzione difficilmente immaginabile in Italia. Qui, più di sette anni fa, si sono trasferiti circa 600 rom provenienti da Fontanelle, un piccolo centro vicino a Bucarest. “Vivevano in condizioni di massimo degrado – racconta Vesligaj – senza luce né elettricità e con la spazzatura fino al primo piano, visto che il proprietario dei condomini non pagava l’impresa di pulizie”. Tutto cambiò quando nel 2011 il complesso è stato comprato da una società immobiliare cattolica[4]. In pochi mesi la spazzatura è scomparsa e gli appartamenti sono tornati ad essere caldi e con acqua corrente. Inoltre, è stato portato avanti un lavoro di scolarizzazione e ricerca di posti di lavoro. La situazione attuale? A cinque anni di distanza, tutte le 134 famiglie pagano l’affitto, “per una media di 6 euro per metro quadrato al mese (contro una media berlinese di 7,98 euro, ndr)”, precisa la responsabile. Un progetto, quello del quartiere di Neukölln, che se pensato in Italia sarebbe sufficiente ad accogliere circa un terzo dei rom presenti sul territorio di Milano.
Bitonci: “Non credo nella mediazione. Andate a lavorare”
“Non credo nella mediazione con queste comunità”. È netta la posizione del sindaco leghista di Padova. “Le forme di mediazione non funzionano: per questo abbiamo eliminato i mediatori culturali e cancellato i contratti con le cooperative che portavano i bambini rom a scuola”. La scelta che è stata fatta a Padova rispetto ai campi nomadi è stata chiara fin dai primi giorni del mandato di Bitonci: raso al suolo “con le ruspe”, tiene a precisare il primo cittadino, il campo irregolare di via Bassette, con tanto di allontanamento dei suoi 150 occupanti. Ma, ruspe a parte, la novità introdotta dalla giunta della Lega Nord è un’altra: oltre ad avere assegnato cinque appartamenti a famiglie rom con minori, nel sistema padovano una variante urbanistica ha reso edificabili una decina di terreni dove già vivevano alcune famiglie rom, “che quindi potranno passare dalle baracche a casette più dignitose”, precisa Massimo Bitonci. Unica regola, secondo il sindaco sceriffo, che questi terreni possano accogliere poche persone e siano distribuiti per la città, in modo da non creare “pericolosi ghetti”. Auto-costruzione su terreni del comune per i cittadini italiani rom, quindi, e liste per le case popolari agevolate per i residenti a Padova da più di vent’anni. “I nostri cittadini non riuscivano mai ad avere le case popolari”, continua Bitonci. E se un rom padovano venisse a chiedere un aiuto economico in Municipio? “A volte sono venuti a parlarmi dei rom 30enni. ‘Ragazzi, a lavorare‘, gli ho risposto”.
Ue: “I fondi europei ci sono, basta sapere come utilizzarli”
A Berlino la gestione del complesso di appartamenti affittati ai rom è finanziata “sia dal comune che da fondi dell’Ue”, precisa Karmen Vesligaj. “La municipalità investe un milione di euro l’anno per l’inclusione dei rom – continua Schneider – cui si aggiungono 4 milioni che l’Ue dà direttamente alle ong che lavorano con questa comunità”. “I fondi europei ci sono, basta sapere come utilizzarli”, conferma Hyde dell’Ue. Peccato che in Italia la spinta delle amministrazioni ad utilizzarli a favore dei rom sia ancora debole “per il timore che risultino una categoria privilegiata”, precisa Opera Nomadi. Quale quindi la spesa italiana a supporto di questa minoranza? “A livello nazionale non esistono dati”, continua Pagani, mentre su Milano si può essere più precisi: sono circa 27 milioni di euro i fondi a cui il Comune ha avuto accesso dal 2008 ad oggi, tra investimenti propri e finanziamenti della Prefettura. Ma i soldi non bastano. “Senza un dialogo aperto con le comunità zigane, non sarà mai possibile nessun cambiamento”, chiude Pagani.
“Ma quale rom? A Berlino mi scambiano per italiana”
Secondo un report dell’Ue, in Italia, solo il 37% delle persone vorrebbe un collega rom, mentre il 75% delle notizie sui rom non presenta alcuna intervista a membri di questa comunità. Non da ultimo, manca una legge che li riconosca come minoranza linguistica. “Vi siete dimenticati che sono stati perseguitati durante il nazismo?”, commenta Ina Rosenthal ricordando come in Germania i rom siano diventati “minoranza discriminata” dagli anni Ottanta. “Noi vogliamo rimediare a quanto è stato fatto in passato e l’unico modo è lottare contro la discriminazione”, continua la project manager. Al suo fianco Èva Àdàm, 25enne rom che ha lasciato in Ungheria una famiglia di musicisti per trasferirsi a Berlino nel 2015. Annuisce Èva mentre si parla di estirpare la discriminazione. “I problemi possono nascere quando la gente viene a sapere le mie origini – racconta Àdàm – se cammino per la strada, invece, nessuno pensa che io sia rom. La maggior parte delle volte mi dicono ‘Ciao bella’, scambiandomi per italiana”.