I due legali dell'ottavo uomo del commando del 13 novembre 2015, in un'intervista a Bfmtv, hanno abbandonato l'incarico e attaccato il regime carcerario a cui è sottoposto. "Lo fanno spiare in carcere come un topo. Non parlerà. Si sta radicalizzando e ha tendenze suicide"
“Non parlerà e ricorrerà al diritto a restare in silenzio. Cosa volete che facciamo? Lo avevamo detto, e io l’ho detto dal primo giorno, che se il nostro cliente non avesse parlato, avremmo lasciato la sua difesa”. L’avvocato belga Sven Mary e il collega francese Francais Frank Berton rinunciano alla difesa di Salah Abdeslam, l’unico membro sopravvissuto degli attacchi di Parigi dello scorso 13 novembre. In un’intervista all’emittente Bfmtv, spiegano che il 27enne, anche a causa della videosorveglianza alla quale è sottoposto 24 ore su 24 in carcere, sta sprofondando in tendenze suicide e si sta radicalizzando. “E’ come un suicidio, temo”.
“Lo fanno spiare in carcere come un topo, lo stanno trasformando in una bestia selvaggia”, dicono, e sostengono che lui non sia mai “stato l’organizzatore degli attentati di Parigi. Ma il potere politico ha scelto di rispondere alle attese del popolo trattandolo come tale. La sua finestra è ostruita da un plexiglass – continuano -, non ha accesso all’aria. Vede la sua famiglia dietro un vetro, non ha il minimo contatto fisico con nessuno. E’ degradante. In 25 anni di carriera, non ho mai visto una cosa simile. Eppure succede in Francia, a Fleury-Merogis“. Per il legale francese a portare Salah al silenzio è stato “il sistema carcerario organizzato intorno a lui”: “Assisto da sette mesi allo spettacolo di un ragazzo di 27 anni che sta affondando psicologicamente. Mi sono battuto per togliere la video-sorveglianza, ma non ci sono riuscito e nell’ultimo procedimento disciplinare contro di lui, ho sentito che si stava radicalizzando in modo estremo”.
Della stessa opinione anche l’avvocato belga Sven Mary, secondo il quale tutto sarebbe iniziato anche prima, il 18 marzo, quando è stato arrestato nel quartiere Molenbeek di Bruxelles. Il giorno successivo è stato interrogato dalla polizia e dal giudice istruttore. E la sera stessa, quando l’inchiostro del verbale non era ancora asciutto, il procuratore della Repubblica di Parigi, Francesco Molins, ha letto il contenuto alla televisione. La prima reazione di Salah Abdeslam in quel momento, è stata di dire: il dado è già tratto. Le radici del suo mutismo sono lì, per me”.
I due avvocati denunciano poi il “pasticcio” legato ad alcune decisioni che definiscono “politiche”, come quella di porre Abdeslam sotto videosorveglianza 24 ore su 24. “Ho visto Salah sprofondare mese dopo mese – ha detto ancora Mary – Se qualcuno scruta anche la notte le vostre azioni ed i vostri gesti, si diventa matti. E questa è la conseguenza di una decisione politica, non è una decisione della giustizia“. A questo punto, sostiene il legale belga, “le vere vittime di tutta questa situazione sono le vittime degli attacchi di Parigi, perché loro hanno il diritto ad ottenere la verità ed il diritto a tentare di capire l’incomprensibile”.