Cronaca

Sequestro Moro, il colonnello Cornacchia: “Rapporti Br-‘ndrangheta? Diedi tutto al pm Infelisi”

In commissione l'audizione dell'ufficiale dei carabinieri, iscritto alla P2: "Un'informatrice ci rivelò tra mario Moretti e i capi della criminalità calabrese"

Nadia era una tipa esuberante, faceva la redattrice di Controinformazione: era proprio lei – “assomigliava tanto ad Anna Magnani” dice a ilfattoquotidiano.it Antonio Cornacchia al termine della sua testimonianza in commissione Moro – l’infiltrata che gli fece scoprire già tra il 1976 e il 1977 le audaci relazioni del capo delle Br, Mario Moretti, con gli uomini della ‘ndrangheta. Di quelle informative fatte realizzare da Cornacchia, allora comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri, poi braccio destro di dalla Chiesa, si perse poi ogni traccia – in Sicilia si mise alle calcagna del capo brigatista un investigatore di prim’ordine, il colonnello Giuseppe Russo, ammazzato dalla mafia nei pressi di Corleone il 20 agosto del ’77.

Cornacchia, presunto piduista (“generale le dice niente il numero 871?”, gli dice il commissario Gero Grassi rinfrescandogli la memoria della sua tessera di appartenenza alla Loggia), aveva del resto realizzato un importante indagine in quello stesso periodo sul traffico di armi che coinvolgeva un certo Luigi Guardigli e Tullio Olivetti, proprietario del bar che si trovava di fronte al luogo dell’agguato ad Aldo Moro e alla sua scorta e che sempre più pressantemente emerge come la base usata dal commando brigatista. Tuttavia, Olivetti incredibilmente fu sottratto a ogni indagine, il suo nome cancellato, e il suo bar fu fatto miracolosamente uscire dalla ‘scena del crimine’ con due parole magiche: era chiuso. Punto. In realtà, era un luogo nevralgico, come sta emergendo dalle indagini in corso alle quali, da quanto si apprende, partecipa anche il procuratore di Roma Pignatone, oltre che la Procura generale della Capitale, dove si vendevano armi di tipo ‘scenico’, apparentemente armi giocattolo con un corpo centrale in plastica che venivano poi adattate dentro laboratori clandestini.

Ma di tutto questo per quale motivo durante i 55 giorni non si tenne conto? “Ma non so… io avevo dato tutto al Procuratore Infelisi, era lui che seguiva le indagini sul rapimento di Moro”, ha sostenuto Cornacchia. “Per quel che sia sa, Infelisi durante la prigionia di Moro si recò in Calabria, disse che doveva scegliere la sua casa per le vacanze estive” fa notare il presidente Fioroni che attorno alle novità sul ruolo della ndrangheta e sul bar Olivetti fa ruotare una parte della ricostruzione fino ad ora negata del caso Moro. “Certamente si tratta di un aspetto importante, nella relazione di dicembre dimostreremo che le Br usarono gli appoggi e le armi della ‘ndrangheta, ma non è questo il cuore del caso Moro”, fa notare un commissario che preferisce restare anonimo.

Il prossimo 3 novembre Cornacchia tornerà a dire la sua. Sarà la tappa finale di una lunga audizione piena di non detti, anche se il generale si è fatto scappare un particolare che non aveva mai rivelato: padre Zucca, una figura di notevole spessore, cappellano del servizio segreto clandestino chiamato l’Anello (le informative che lo svelarono si riferiscono al Noto Servizio) aveva preso parte attivamente alla trattativa svolta dal Vaticano. Una circostanza cruciale, di cui padre Zucca parlò pubblicamente in due intervista a L’Espresso subito dopo il 9 maggio, completamente inabissata, non considerata né dalla magistratura né dalle precedenti Commissioni parlamentari e il motivo è semplice: l’argomento era top secret, non si poteva parlare dell’Anello, di cui il generale Cornacchia, ci confida al margine dell’audizione, aveva anche conosciuto anche la figura centrale, Adalberto Titta, il fac totum di un servizio segreto che ha ‘ripulito’ gli affari sporchi della Repubblica .