Di Samantha Falciatori
“Un museo [..] non può essere la banale presentazione del bello ma deve anche essere spazio di riflessione e iniziativa civile, come [lo è] la mostra di Caesar”. Con queste parole Pietro Barrera, Segretario Generale del MAXXI (Museo nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma, ha inaugurato mercoledì 5 ottobre la mostra, dal titolo Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura, del caso Caesar, ossia le 55.000 foto di detenuti morti sotto tortura nelle carceri siriane scattate da un fotografo della polizia militare siriana che, disertando, le ha portate con sé.
Le foto, autenticate, sono un’importante testimonianza di parte delle atrocità tuttora in corso in Siria e pongono non solo le istituzioni ma anche le opinioni pubbliche di fronte alle proprie responsabilità verso tali orrori. Squarciare il velo di silenzio e omertà che avvolge la tragedia siriana: è questa l’importanza della mostra, anche se le foto sono scioccanti. Corpi scheletrici, mutilati, bruciati, con gli occhi cavati, ammucchiati uno accanto all’altro: si potrebbero scambiare per quelle dell’Olocausto. Solo che queste sono a colori. Ma è necessario mostrarle, perché come ha sottolineato il senatore Luigi Manconi, Presidente della commissione per i Diritti Umani, “accanto al bello [occorre] presentare anche il vero, e raramente coincidono”.
Le foto, espressione di quello che alcuni definiscono “il male minore”, possono essere visualizzate qui e qui, ma si avverte: sono scioccanti. La mostra è anche occasione per riflettere sulla tortura in Italia, dove ancora non esiste il reato di tortura. Come anche Ilaria Cucchi ha affermato alla Camera dei Deputati: “Le foto di Caesar evocano il ricordo del corpo martoriato di mio fratello […] Credo che spesso si faccia troppa fatica dalle proprie case a immedesimarsi in chi quelle violenze le subisce e nelle persone vicine a chi di quelle violenze muore. Quelle foto sono un aiuto prezioso per prendere coscienza e capire che non ci si può più girare dall’altra parte.”
Sul valore legale delle foto, Stephen J. Rapp, investigatore internazionale del caso siriano, ha detto: “Ho avuto l’onore di essere Procuratore del Tribunale Speciale per la Sierra Leone, che condannò l’ex Presidente Charles Taylor a 50 anni di carcere per crimini contro l’umanità e di guerra. Le prove che abbiamo dei crimini in Siria, parte delle quali è qui oggi, ma anche migliaia di documenti e testimoni, provano che atrocità di massa vengono commesse oggi in Siria [..] e sono più solide di quelle che si avevano nei processi dell’ex Yugoslavia, del Rwanda e persino contro i nazisti a Norimberga, perché abbiamo i nomi delle vittime, dei carnefici e degli edifici dove vengono commessi questi crimini”.
Il caso Caesar documenta uno sterminio di massa di cui occorre assumersi le responsabilità. Anche la Commissione d’Inchiesta Indipendente sulla Siria delle Nazioni Unite ha concluso che le torture di massa che avvengono nelle carceri siriane ammontano a “una politica di Stato di sterminio della popolazione civile”. Come ha detto Baykar Sivazliyan, Presidente emerito dell’Unione degli armeni in Italia: “Il silenzio è stato il secondo assassino degli armeni. Per cui [serve] un po’ di coraggio nell’affrontare queste cose e questa mostra fa i primi passi affinché l’Occidente impari a non mettere sempre vittima e carnefice allo stesso livello con questa falsa politica di equidistanza. [..] Dobbiamo avere il coraggio di dire chi ha torto o ragione, altrimenti non riusciremo mai affrontare seriamente questi problemi [..] Si può essere Paesi amici, fare grandi affari, ma quando c’è bisogno ci vuole il coraggio di dire ‘stai sbagliando’”.
Coraggio che spesso manca. Sabato 8 ottobre militanti di Forza Nuova hanno fatto irruzione alla mostra inneggiando slogan in sostegno ad Assad e Putin, reiterando il sostegno del gruppo fascista al Presidente siriano e scappando prima dell’arrivo della polizia, chiamata dai vigilantes per evitare disordini. Pietro Barrera ha dichiarato: “Questa sguaiata provocazione di FN […] conferma quanto sia importante il nostro impegno per la difesa dei diritti umani ovunque vengano calpestati”.
Per chi volesse approfondire si rimanda all’inchiesta giornalistica La macchina della morte. Siria: oltre il terrorismo islamico di Le Caisne Garance, giornalista che ha più volte intervistato Caesar e che ha avuto accesso alla documentazione originale.