Ho letto la notizia della mamma che dopo aver saputo che sua figlia aveva preso in giro una compagna di classe malata di cancro non ci ha visto più e ha deciso di punirla pubblicamente postando su Facebook il filmato in cui le rasa i capelli, rendendola uguale alla compagna che aveva deriso.
Non sono riuscita a capire se è una notizia reale o meno, se è recente o meno e in quale parte del mondo è accaduta. Mi ha comunque colpito e dato lo spinta a scrivere qualcosa al riguardo. Se l’episodio è reale, questa madre doveva essere davvero disperata per arrivare a mettere in atto un gesto così forte e sottoporre la figlia alla gogna mediatica da cui si cerca da più parti di proteggere i ragazzi.
Una reazione istintiva è comprensibile, una punizione esemplare potrebbe anche essere comprensibile e condivisa, ma questa lo è o è soltanto l’applicazione della legge del taglione 2.0? Ci riporta alla questione se stimolare sentimenti di vergogna di impotenza e di fragilità sia educativo o meno, se l’educazione debba passare attraverso la condivisione e la comprensione delle regole sociali o solo attraverso la coercizione.
La divulgazione della punizione che potere educativo può avere? Cosa resta alla giovane bulla del messaggio inviato dalla madre? La ragazza capirà quello che ha fatto o la prepotenza subita stimolerà soltanto rabbia e ulteriore prepotenza verso qualche altro debole di turno?
Non sappiamo quale siano le risorse interiori di questa ragazza, ma se l’episodio è indicativo dell’atmosfera familiare in cui è cresciuta, possiamo farci un’idea delle ripercussioni future. La prepotenza stimola prepotenza. Il comportamento da bullo è spesso il risultato della crescita sia in ambienti familiari in cui l’atmosfera è anaffetiva o ambivalente e l’educazione è permissiva e tollerante, dove il bambino cresce senza limiti e sviluppa condotte aggressive, ma nasce anche in risposta a un’educazione coercitiva e violenta che favorisce il perpetrarsi della violenza stessa dal momento che i bambini ripropongono in genere all’esterno le stesse modalità che vivono in famiglia.
Il carnefice di oggi è stato spesso la vittima di ieri, oppure è vittima in altre aree della vita. Come ho già scritto in un altro post, nonostante la determinazione con cui mette in atto il suo comportamento, il bullo spesso non sa spiegarselo, fa il prepotente per divertirsi, per mettersi in mostra agli occhi degli altri: la vittima è antipatica o suscita gelosia, o invidia per qualche motivo o, come probabilmente in questo caso, personifica, quelle caratteristiche di fragilità e debolezza che il bullo non accetta di sé e che non vuole o non sa riconoscersi.
Egli tende a umiliare, a “deumanizzare” la vittima e questo gli permette di accanirsi contro un compagno considerato quasi inferiore e contro cui sembra più lecito o meno grave esercitare violenza. Spesso la vittima viene colpevolizzata e “se le succede qualcosa vuol dire che se lo è meritato”. Deve essere quello che ha pensato la ragazza quando ha offeso la compagna malata, e deve anche essere quello che ha pensato sua madre quando ha messo in atto la duplice punizione.
Il rischio che pene “esemplari” stimolino altre forme di prepotenza è sempre molto alto. Gli interventi più efficaci per gestire il bullismo, sono quelli mirati a “rinforzare” la vittima, a darle il senso che non è più sola ad affrontare le cose, interventi che la aiutino a costruire strumenti con cui gestire il bullo e le sue prepotenze. Parallelamente per il bullo gli interventi potrebbero essere mirati a costruire percorsi di consapevolezza.
La difficoltà a entrare in contatto con le proprie emozioni e riconoscere quelle degli altri e l’incapacità di esprimere i sentimenti con le parole sono la base su cui si sviluppa la prepotenza: una compagna malata rappresenta un’immagine di fragilità e debolezza che la bulla non riesce a sopportare e che però probabilmente fa parte dei suoi vissuti. Aiutare la bulla a riconoscere e accettare i propri sentimenti di fragilità, aiutarla a riumanizzare la compagna malata, a recuperare il torto inflittole attraverso comportamenti adeguati, costruendo magari un nuovo rapporto con lei, questo servirebbe e potrebbe avvenire soltanto attraverso azioni integrate tra scuola, famiglie, bulli e vittime. Servono adulti coraggiosi e affidabili per farlo.