Cultura

Dario Fo: “Per fortuna che in scena c’era Franca”

Da NUOVO MANUALE MINIMO DELL’ATTORE di Dario Fo e Franca Rame - Chiarelettere, Milano 2015

di F. Q.

Da NUOVO MANUALE MINIMO DELL’ATTORE di Dario Fo e Franca Rame – Chiarelettere, Milano 2015

Il gesto di Franca e i vuoti di memoria

Per fortuna in scena c’era anche Franca che, con un gesto della mano, senza darlo a vedere, mi suggeriva di ritmare meno le battute e darle con maggior souplesse. Io applicavo il consiglio e, quasi sempre, l’effetto si mostrava quello giusto. Ma non solo con me Franca usava quel genere di comunicazione fatta di gesti. Se un riflettore di scena o di sala, come si dice in gergo, «saltava», ecco che, prima ancora che il datore di luci se ne accorgesse, Franca, senza mai smettere di recitare, sollevava velocissima un braccio, come se volesse allontanare una mosca noiosa. Il tecnico se ne rendeva conto e Franca ripeteva il gesto indicando una parte della scena. Lucignolo, come aveva soprannominato lei il tecnico, accendeva lentamente un altro riflettore, magari di taglio o di proscenio, che sostituisse il faro spento. E questi suoi interventi li metteva in atto anche nel caso in cui le casse acustiche proiettassero suoni distorti o eccessivamente alti o bassi. Insomma, non le sfuggiva nulla, tanto che in compagnia la chiamavamo «il controllore di palcoscenico».

Succedeva anche che qualche attore fosse in un certo modo assente rispetto al ritmo da tenere o, peggio, che entrasse in ritardo con le sue battute. Subito Franca, sempre senza che il pubblico potesse accorgersene, accennava un colpo di tosse, puntando lo sguardo verso l’attore fuori tempo. E quello, subito, rientrava nel ritmo corretto. Verso di me, spesso faceva il gesto di porsi una mano sull’addome. Quello era l’invito a recitare spingendo sul diaframma e a produrre toni più bassi e intensi. Infatti il difetto quasi costante degli attori alle prime armi (e io mi sono trovato sul palcoscenico senza aver mai frequentato un’accademia o una scuola di dizione) è proprio quello di, senza rendersene conto, salire facilmente con la voce di testa o peggio ancora di naso. Tono, oltre che poco gradevole, anche potenzialmente nullo. Ogni tanto, come succede a quasi tutti gli attori, capitava che all’istante ti cogliesse un vuoto di memoria e, dopo un attimo di silenzio impacciato, qualche altro attore, con tono lieve, ti suggerisse la battuta. In quei casi, non si sa perché, anche se il suggeritore spingeva il tono della sua voce, non ti riusciva di coglierla, finché un altro attore o attrice la diceva sfacciatamente al posto tuo. Questo a Franca non succedeva mai, non perché avesse una memoria straordinaria, ma per la semplice ragione che possedeva l’arte dell’improvvisazione. Mi ricordo, in uno spettacolo dal titolo Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri del 1960, dove io interpretavo il ruolo di un prete timido e impacciato, Franca, nei panni di una sciantosa amante di un famoso gangster del tempo, proprio nell’istante in cui mi stava confidando dei punti cruciali della sua vita da soubrette, all’improvviso si blocca per un attimo e io capisco che è presa da un vuoto di memoria strepitoso. Inciampa appena con la voce e poi, tranquillamente, riprende a raccontare una storia che nulla ha a che vedere con la commedia che stiamo recitando. Sta riproponendo un fatto capitatole davvero qualche tempo prima.

«L’altro giorno ero salita su un taxi – racconta – e, dopo aver dato l’indirizzo, mi rendo conto che l’autista ha preso una strada del tutto sbagliata, che porta in periferia e non nel centro della città, dove io devo andare. Io – esclama – l’ho quasi aggredito: “Ma dove sta andando?”. “Signora, non si preoccupi. È che cercavo di allungar un po’ la strada per rimanere un po’ più con lei… È la terza o quarta volta che mi capita di trasportarla e, scusi se sono sfacciato, ma mi sono preso una cotta per lei…” Mi sono sentita proprio sbullonata, non sapevo come comportarmi, se buttarla sul ridere o assumere un atteggiamento risentito. Alla fine ho deciso di recitare la parte della lusingata: “Che bello! – ho esclamato –, è la prima volta che incontro uno chauffeur così galante. Ieri un suo collega mi ha addirittura chiesto se accettavo di andare al cinema con lui per far flanella… Scusi se mi permetto, ma lei è sposato?”. Poi, cambiando ritmo, esclamo: “Eh no, ancora! Ma non ha altro da fare quello?!”. “Quello chi?” fa il taxista. “È uno della polizia, che mi sta tampinando da giorni perché è convinto che io abbia qualcosa da spartire con quelli che hanno fatto il colpo da un miliardo alla Banca nazionale. Non si faccia accorgere, è proprio dietro di noi con la sua macchina! Mi faccia un favore, svicoli nella prossima strada e mi faccia scendere in fretta. Non vorrei che ci andasse di mezzo anche lei in questa faccenda…” Quasi automaticamente l’autista ha fatto come gli avevo suggerito. Il taxi non era ancora fermo che io ero già fuori. Paradossalmente nel salutarlo ho aggiunto: “Tenga pure il resto!”. Poi mi resi conto che non avevo pagato una lira.» Alla parola «lira» ecco che Franca si illumina. All’istante le è venuta in mente l’espressione che le sfuggiva e, tranquilla, ha ripreso il suo discorso.

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