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‘Ndrangheta, Cafiero de Raho: “A Reggio controlla tutto, popolazione soggiogata”

Il procuratore in Commissione antimafia dipinge il quadro emerso dalle inchieste più recenti. Fino a Mammasantissima, che evidenzia i legami fra boss e colletti bianchi "a livello superiore della massoneria". Lo spiraglio della speranza: "Cominciano a esserci denunce prima impossibili"

“Nel territorio di Reggio Calabria le istituzioni sono fortemente isolate, da un lato perché vi è una popolazione totalmente soggiogata dalla forza di intimidazione della ‘ndrangheta, dall’altra perché c’é confusione, non si sa con chi ci si rapporta e questo determina distanza tra popolazione e istituzione”. L’analisi è del procuratore di Reggio, Federico Cafiero De Raho, che l’ha illustrata davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Dove il magistrato che da procuratore di Napoli ha smantellato il clan dei Casalesi, istruendo l’inchiesta che è poi sfociata nel processo Spartacus, è stato chiamato per riferire dei rapporti tra la più potente delle mafie e la massoneria.

Anni di inchieste, da ‘Sistema Reggio’ ad ‘Araba Fenice’ all’ultima, ‘Mammasantissima’, con “arresti centellinati, perché siamo il primo giudice degli atti che compiamo”, hanno portato alla luce una struttura polimorfa, che condiziona la vita pubblica e privata. Gli appalti e l’apertura di un bar, ha spiegato Cafiero de Raho. “Le indagini evidenziano il rapporto tra ‘ndrangheta e una rete segreta, e come questa rete possa spingere sulle scelte che la città deve fare”, ha spiegato il magistrato. Una loggia che non è la massoneria, ma “qualcosa di diverso e superiore”, che “lega professionisti, uomini della ‘ndrangheta di più alto livello e uomini delle istituzioni“, e la procura sta cercando di mettere a fuoco il legame, anche in passato con “appartenenti alle istituzioni, alle forze dell’ordine, ai servizi segreti e magistrati”.

La ‘ndragheta “controlla tutto – ha continuato – in modo così profondo che anche la manutenzione di un immobile privato impone il ricorso a soggetti che secondo la ‘ndrangheta possono lavorare in quel quartiere. Dall’indagine Araba Fenice emergeva che un lavoro idraulico o di pittura può essere fatto solo da un soggetto che può lavorare, oppure il lavoro non si fa”. L’operazione che ha portato all’esecuzione di una ventina di ordinanze di custodie cautelari era partita dall’esplosione in un bar in via di ristrutturazione. I magistrati hanno accertato come l’apertura di quel bar avesse determinato una guerra tra esponenti di ‘ndrangheta, un corto circuito nella spartizione del territorio.

Il procuratore di Reggio ha lasciato però uno spiraglio alla speranza. Eppure, “la gente comincia a capire che non si può continuare nello stesso modo, cominciano ad esserci denunce che sembravano impossibili. Lo scorso anno abbiamo avuto 13 collaboratori di giustizia, che è un numero straordinario”.