Non riesco a non pensare a Massimo Recalcati che, sdraiato sul lettino dello psicanalista, dice “Stalinisti, dottore, stalinisti ovunque”. L’articolo che Recalcati ha scritto su Repubblica attribuisce la colpa delle critiche a Roberto Benigni, ‘reo’ di aver cambiato idea sulla Costituzione “più bella del mondo” (sic) e di voler votare Sì al referendum costituzionale di dicembre, allo ‘stalinismo’ insito nella cultura della sinistra, che guarderebbe al dissenso in termini di ‘tradimento’.
Ora, a parte che se qualche tempo fa davi dello stalinista usandolo come una critica a uno di Vergaio, rischiavi che quello ti mettesse le mani sul viso. Vergaio, frazione di Prato dove Benigni ha vissuto dall’età di 6 anni, roccaforte P.C.I., luogo di ambientazione di Berlinguer ti voglio bene. Un posto dove i bambini li chiamavano Yuri, Dimitri, Vladimiro (come il Vladimiro Tegoloni compagno locale del dibattito dal titolo “Pole la donna permettisi di pareggiare coll’omo?”, alla casa del popolo Majakovskij del film di Benigni-Giuseppe Bertolucci). Eppure, di recente la piccola frazione è stata espugnata dalla Lega alle elezioni regionali. Ma vabbè, sic transit.
‘Tradimento’ rimane una brutta parola, degna forse di una setta e non delle opinioni politiche, che possono mutare. Pare che nel frattempo siano mutate anche quelle di Pier Luigi Bersani, che ora dice di voler votare No al referendum, mentre Renzi giustamente gli ricorda di averla votata, la riforma – e per ben 3 volte – in Parlamento. Ha scritto Bersani che “con l’elezione diretta dei senatori e un radicale cambiamento dell’Italicum, con tutti i suoi limiti, la riforma costituzionale sarebbe potabile. Con la nomina dei senatori e dei deputati e con la democrazia del capo, la riforma è indigeribile“.
Francesca Barracciu, con eleganza, ha risposto su Twitter (salvo poi rimuovere il tweet) a Matteo Orfini (uno che di cambiamenti di opinione se ne intende), il quale chiedeva a che gioco si stesse giocando, che il gioco a cui gioca Bersani è quello di chi spara da dietro i muretti, il gioco degli “infami”.
In verità Bersani almeno sull’Italicum aveva votano no. In ogni caso, avevo scritto su questo giornale già a luglio che la minoranza Pd aspettava una modifica dell’Italicum per farsi andar bene (per bersi, stando alla metafora di Bersani) la riforma della Costituzione proposta dal suo stesso partito. Durante la direzione del Pd Matteo Renzi si è detto disponibile a modificare la legge elettorale, ma solo “dopo il referendum”. La minoranza del Pd naturalmente è messa all’angolo, meglio si è messa all’angolo e ora si dice costretta a fidarsi delle promesse del segretario. Ma è vero che una modifica (quale, poi?) dell’Italicum renderebbe potabile la riforma della Costituzione? La risposta è no. Renzi dice “niente alibi, modifichiamo [quando? ndr] l’Italicum”, ma l’alibi lo cercano coloro che non aspettavano che una promessa per votare Sì al referendum costituzionale.
Mettiamo il caso che l’Italicum cambi davvero superando i limiti che gli sono connaturati e che riguardano la nomina dei parlamentari (tralasciando, come fa Bersani, la questione – invero gigantesca – del premio di maggioranza): quale sarebbe l’effetto di tracimazione sulla riforma della Costituzione che la renderebbe ‘votabile‘? Non è forse vero che l’articolo 70 della nuova Carta rimarrebbe lo stesso, pasticciato come è ora, prevedendo le stesse farraginose procedure che prevede così come è nella sua versione novellata? E che la Carta modificata continuerebbe ad avere quella spinta verso uno strapotere dell’esecutivo a discapito del Parlamento?
Il nuovo articolo 72, 7° comma, prevede per esempio il cosiddetto voto ‘a data certa’, simile al vote bloqué della V Repubblica francese: il governo ha il potere di chiedere alla Camera dei deputati di riconoscere, entro 5 giorni, che un disegno di legge è “essenziale per l’attuazione del programma di governo”, dopodiché la Camera dovrà deliberare entro 70 giorni (prorogabili di 15). Il testo precedente prevedeva addirittura che il testo da sottoporre alla Camera fosse immodificabile! Il voto ‘a data certa’, assieme ai decreti-legge (e ai disegni di legge), costituisce uno spostamento del sistema costituzionale verso l’esecutivo. Spostamento a cui si devono aggiungere le pratiche correnti dell’esecutivo e del Parlamento: ‘canguri’, maxiemendamenti, mille-proroghe, fiducie, tagliole e ghigliottine. Tutto questo con l’Italicum devasterebbe il sistema parlamentare. Effetto che un Italicum modificato, non si sa come (né quando e se), non cancellerebbe affatto.